Gli allievi con disabilità intellettive si differenziano moltissimo tra loro. Ad esempio per la gravità della disabilità. In alcuni casi essa è molto grave (come nella sindrome di Angelman o nella sindrome di Rett, che di norma sono caratterizzate da una età mentale inferiore ai 24 mesi) in altri essa è lieve e permette in età adulta di farsi una famiglia e di lavorare. Molto diversi sono anche i profili neuropsicologici, cioè i punti di forza e di debolezza (classico è il confronto fra la sindrome di Down e la sindrome di Williams). Inoltre essi si differenziano anche per altre variabili; ad esempio a seconda di una eventuale compromissione psichiatrica o per l’ambiente familiare impoverito o arricchito.
Sono comunque possibili indicazioni e riflessioni di base.

Assieme a tutti gli altri

Bambini e ragazzi con disabilità intellettive realizzano meglio i propri potenziali di apprendimento cognitivo e sociale in contesti di integrazione scolastica. Vedi l’approfondimento “A proposito dell’inclusione scolastica” alla fine di questa pagina. È importante evitare situazioni da scuola speciale, come nei casi in cui si fa uscire sistematicamente (quindi non solo per 3 o 4 ore alla settimana) l’allievo con disabilità intellettive dalla classe o si demanda solo (o quasi) all’insegnante di sostegno l’intervento didattico. Senza compagni di classe e insegnanti curricolari non c’è integrazione.

Conoscere lo sviluppo tipico

Può succedere che ci si trovi in difficoltà con i bambini certificati con disabilità non perché non si conoscono i problemi specifici della disabilità, ma perché non si copnosce abbastanza bene lo sviluppo normale. Ad esempio non si è esperti di comunicazione non verbale (utile con bambini che hanno gravi problemi di linguaggio) o di dinamiche emotive (utile con bambini che hanno problemi di comportamento) o di motivazione ecc.

Conoscere le specificità dello sviluppo atipico

La conoscenza dello sviluppo tipico è necessaria per una ottimale comprensione delle problematiche connesse con le disabilità intellettive, ma non basta. Su di essa si deve fondare una conoscenza specifica almeno a tre livelli.

  1. Di base è la conoscenza delle problematiche tipiche (non nel senso di sempre presenti, ma nel senso di più frequenti che nella popolazione generale) delle disabilità intellettive. Esse non riguardano solo lo sviluppo cognitivo e linguistico, ma anche quelli: fisico e motorio, emotivo, affettivo, sociale, motivazionale e di personalità.
  2. Ad essa deve essere associata la conoscenza delle caratteristiche tipiche (anche qui nel senso di più frequenti) delle specifiche sindromi.
  3. Infine è importante utilizzare la conoscenza dello sviluppo tipico, dello sviluppo in caso di disabilità intellettive e delle sindromi specifiche per comprendere la specificità del singolo. Le conoscenze generali invitano a formulare ipotesi, che devono essere verificate, senza pregiudizi e aspettandosi sempre le eccezioni.

Partire da ciò che il bambino o ragazzo sa già fare

Per insegnare qualcosa si deve partire da ciò che l’allievo sa già fare o conosce già. Anche se ha 14 anni e una età mentale di 3.
Questo può voler dire:

  • ristudiarsi lo sviluppo nei primi anni di vita;
  • attribuire importanza ai progressi che i bambini normodotati fanno nei primi anni di vita (dal sorriso al volto umano… all’indicarti un oggetto … alle prime parole … alle prime frasi);
  • stabilire i livelli (di comunicazione non verbale e verbale; di attenzione, memoria e intelligenza; di socializzazione, di controllo delle emozioni ecc.) attuali del nostro allievo;
  • proporgli situazioni adeguate al suo livello, con sistematicità ma anche evitando saturazione e in ogni caso cercando di portare a piena padronanza il livello in cui è. Emergeranno così nuove possibilità di intervento.

Importanza della motivazione

La psicologia dello sviluppo e dell’educazione (ma anche la psicologia dell’apprendimento) attribuisce molta importanza agli aspetti motivazionali. Dobbiamo ricordarcelo anche con gli allievi con disabilità intellettive. Anzi, ancor più.

Insegnamento differenziato e conduzione della classe in cui è inserito un alunno con disabilità

L’allievo con disabilità intellettiva necessita di insegnamento individualizzato. Come farlo tenendolo in classe? Con un insegnamento differenziato (vedi Vianello 2012), cioè proponendogli attività semplificate, coerenti con ciò che in quel momento sta facendo la classe. Questo richiede impegno nel coordinamento fra gli insegnanti.

La cooperazione con i compagni di classe favorisce il realizzarsi dei potenziali di sviluppo

L’insegnamento cooperativo è molto utile per le classi in cui è inserito un allievo con disabilità intellettive e in cui si attua un insegnamento differenziato.
Spesso è opportuno organizzare la classe in gruppi.

Strutturazione dell’ambiente … in aula con i compagni

Nelle guide per gli insegnanti che trattano le problematiche relative alle disabilità intellettive si sottolinea che è importante che l’ambiente sia: molto ben strutturato; non rumoroso; privo di distrazioni; caratterizzato da una routine costante, che permetta la prevedibilità di ciò che si farà.
È cruciale strutturare in un certo modo l’ambiente, ma senza rinunciare al contatto con gli altri compagni.

La Comunicazione Aumentativa Alternativa

Si stanno diffondendo sempre più (soprattutto a partire dal 1983, con la fondazione della International Society of Augmentative and Alternative Communication) approcci volti a favorire la comunicazione nei casi in cui il linguaggio verbale sia particolarmente compromesso. Essi si differenziano dall’uso delle lingue dei segni utilizzate in caso di sordità soprattutto per l’ampio uso che si fa di simboli grafici, visivi e di immagini. Inizialmente adottati (in particolare a Toronto, con l’utilizzazione del codice Bliss) soprattutto per persone con paralisi cerebrale e compromissione dell’articolazione linguistica si sono ben presto estesi alle persone con autismo e, successivamente, a bambini e ragazzi con disabilità intellettive gravi in cui le competenze linguistiche sono più compromesse di quelle senso-motorie o simboliche (ad esempio sindrome di Angelman e di Rett) e comunque con carenze linguistiche (ad esempio una ristretta percentuale di minori e adulti con sindrome di Down). Si tratta di approcci fra loro anche diversi, comunque rientranti in quella che è definita la Comunicazione Aumentativa Alternativa (Augmentative and Alternative Communication), in cui il termine Alternativa è utilizzato in contrapposizione con la comunicazione verbale e il termine Aumentativa per evidenziare che si vuole “aumentare” anche il linguaggio verbale o comunque che si vogliono aumentare, assieme al linguaggio verbale, le prestazioni a livello di comunicazione.
La normale comunicazione è già aumentativa e alternativa, dato che il linguaggio verbale è accompagnato da gesti, espressioni, posture ecc. Sembra tuttavia opportuno utilizzare questa espressione quando il suo uso è consapevole, mirato e programmato proprio per supplire a carenze di linguaggio verbale.
Secondo alcuni sarebbe meglio non utilizzare più il termine “Alternativa”, in quanto sembra veicolare il messaggio di “essere al posto del linguaggio verbale” e non “complementare” ad esso
La comunicazione aumentativa si realizza in molti modi: attraverso programmi al computer, con immagini realistiche o simboli visivi, puntando lo sguardo su pannelli trasparenti, usando mouse che trasmettono comandi a seconda di come si muove la testa, con tastiere speciali ecc.
Molto diffuso è l’uso di figure su cartoncino o di figure su carta plastificata; ad esempio con le persone con autismo (con o senza disabilità intellettive associate). L’uso di figure risulta spesso, con loro, più appropriato del linguaggio dei segni in quanto non richiede il guardarsi reciproco (la persona con autismo può ad esempio prendere una figura e metterla in un contenitore per comunicare che desidera mangiare o bere o andare in bagno senza guardare l’interlocutore), comportamento non tipico di molte persone con autismo.
Di norma nella prima fase dell’uso della Comunicazione Aumentativa Alternativa vengono utilizzate immagini di oggetti che vengono presi e dati all’interlocutore o posti in un contenitore per richiedere una qualche azione (“dammi da mangiare o da bere” o “portami in giardino” ecc.) o per comunicare che si esegue una azione (“ora vado in bagno”). Successivamente le immagini possono raffigurare una vera e propria azione.
Nelle prime fasi si amplia il più possibile il lessico.
Successivamente (dipende molto dai livelli intellettivi della persona con disabilità) si possono formare, con le immagini, vere e proprie frasi, da quelle prodotte attraverso due immagini a quelle prodotte con più di due immagini.
Una ricerca in internet può permettere di trovare molte immagini utilizzate per la Comunicazione Aumentativa Alternativa.
Una volta condiviso l’approccio è possibile utilizzare anche la propria creatività per trovare nuove immagini, appropriate per la situazione, anche da parte di educatori di asilo nido, di insegnanti, di genitori e di operatori.

Scheda ripresa, con modifiche, dai volumi di Fontani (2014) e Vianello, 2012.

A proposito di inclusione scolastica

Sulla base di varie ricerche presentate in particolare in Vianello (2012) è emerso che in Italia la sindrome di Down è caratterizzata, rispetto a quanto riporta la letteratura internazionale, da

  • un livello intellettivo maggiore di circa 1-2 anni (in termini di età mentale);
  • prestazioni sociali maggiori che nel passato di almeno 1-2 anni (in termini di età equivalente);
  • prestazioni in lettura e scrittura superiori (surplus) rispetto a quelle intellettive.

Il fenomeno del surplus nelle prestazioni adattive rispetto all’età mentale in individui con disabilità intellettive è conosciuto da tempo, ma negli alunni e studenti italiani, in quanto inseriti in classe normale, esso è risultato particolarmente significativo. Anche in allievi con sindrome di X fragile, di Prader-Willi e di Cornelia de Lange.
Ritenendo che il surplus rispetto all’età mentale caratterizzi la realtà italiana più di altre realtà e che la variabile cruciale possa essere l’inserimento pressoché totale degli allievi con disabilità intellettive in classi normali e non in classi speciali (diversamente da quanto avviene in molti altri Paesi) Vianello e Lanfranchi hanno sollecitato nella rivista Life Span and Disability (2009-2011) un confronto a livello internazionale. Con il coinvolgimento in particolare dei colleghi Michael F. Giangreco, Thomas E. Scruggs e Kim Michaud, Nancy L. Waldron e James McLeskey, Elena Tanti Burlò, è stato possibile raccogliere i risultati di centinaia di ricerche centrate sul confronto fra scuole speciali e scuole inclusive. Ne riportiamo sinteticamente i risultati.

Deficit e surplus rispetto all’età mentale

Zigler e Bennet-Gates (1999), sulla base di ricerche condotte da Zigler e dai suoi collaboratori in più di 40 anni, hanno evidenziato che gli individui con disabilità intellettive a livello motivazionale e di personalità manifestano:

  • atteggiamenti più negativi nei confronti degli estranei
  • iperdipendenza nei confronti degli adulti conosciuti;
  • una minore aspettativa di successo;
  • maggiore importanza attribuita alla motivazione estrinseca piuttosto che intrinseca.

A causa di ciò risulta minore la disponibilità all’impegno, l’autostima, il senso di efficacia.
Un effetto è la minore utilizzazione delle proprie potenzialità e quindi il deficit rispetto all’età mentale, cioè prestazioni al di sotto delle possibilità cognitive.
Il fenomeno opposto al deficit rispetto all’età mentale è stato denominato “surplus” rispetto all’età mentale (Vianello, 2008). Si tratta di un fenomeno poco formalizzato in letteratura. Esso considera, in definitiva, come adeguati interventi educativi possano permettere prestazioni superiori rispetto a quelle medie di bambini normodotati che hanno la stessa età mentale (o età intellettiva equivalente, in quanto valutata con test di intelligenza).

L’effetto surplus è maggiormente presente nelle classi inclusive

Complessivamente non c’è discordanza fra gli autori nel ritenere che l’effetto surplus nelle prestazioni scolastiche e adattive rispetto ai risultati nei test di intelligenza sia maggiormente presente nelle classi inclusive rispetto a quelle speciali. Questo dato è implicitamente o esplicitamente presente in molte delle ricerche citate. A titolo esemplificativo ricordiamo McDonnel, Thorson, Disher, Mathot-Buckner, Mendel & Ray, 2003.

Le prestazioni scolastiche sono migliori nelle scuole inclusive

Numerose sono le ricerche che evidenziano che:

  • i collocamenti “segregati” possono avere effetti negativi sullo sviluppo sociale e sui successi scolastici o produrre un deficit (Carlberg & Kavale, 1980; Madden & Slavin, 1983; Epps & Tindal, 1988; Freeman & Alkin, 2000; Salend & Duhaney, 2007);
  • le prestazioni scolastiche degli allievi con disabilità intellettive inseriti in classi normali sono uguali (in caso di disabilità intellettiva grave) o migliori (in caso di disabilità intellettiva lieve) di quelle dei propri coetanei inseriti in classe speciali. (Carlberg & Kavale, 1980;
  • Giangreco, Dennis, Cloninger, Edelman, & Schattman, 1993; Hunt & Goetz, 1997; McGregor & Volgelsberg, 1998; Freeman e Alkin, 2000; Kim, Larson & Lakin, 2001; McDonnel, Thorson, Disher, Mathot-Buckner, Mendel & Ray, 2003; Cole, Waldron, & Majd, 2004; Downing & Peckham-Hardin, 2007; Felce e Perry, 2009);
  • questo vantaggio può essere dovuto anche al fatto che in contesti normali gli allievi con disabilità intellettive esprimono meglio le proprie capacità (quelle che in un certo senso “già hanno”) (Kim & al., 2001; Felce e Perry, 2009);
  • pur non essendo le prestazioni scolastiche inferiori a quelle in scuola speciale anche in caso di disabilità intellettive gravi, particolarmente avvantaggiati sono gli allievi con disabilità intellettive lievi (Freeman & Alkin, 2000);
  • l’inserimento in classe normale permette di accedere a gradi di istruzione superiori. (Logan & Keefe, 1997; Helmstetter, Curry, Brennan, & Sampson-Saul, 1998).

Lo sviluppo sociale raggiunge livelli superiori nelle scuole inclusive

Numerose sono le ricerche e le rassegne che evidenziano livelli superiori di sviluppo sociale. (Freeman & Alkin, 2000; Buckley, Bird, Sacks, & Archer, 2002; Fisher & Meyer, 2002; McDonnel, Thorson, Disher, Mathot-Buckner, Mendel & Ray, 2003; Buckley, Bird, & Sacks, 2006).
In particolare è emerso che:

  • hanno più interazioni con i compagni di classe (Salend & Duhaney, 2007);
  • hanno più amicizie (Salend & Duhaney, 2007);
  • hanno un miglior concetto di sé (Salend & Duhaney, 2007);
  • manifestano più elevati livelli di “comportamenti di benessere” quando interagiscono con i compagni normodotati (Logan, Jacobs, Gast, Murray, Daino, & Skala, 1998);
  • hanno meno comportamenti disadattivi. (Salend & Duhaney, 2007).

L’accettazione sociale è maggiore nelle classi inclusive

Gli studenti con disabilità intellettive sia nei contesti speciali che nelle classi normali possono essere oggetto di una minore accettazione sociale rispetto ai compagni normodotati. Essa, tuttavia, è migliore per gli allievi inseriti nelle classi normali rispetto a quelli inseriti in classe speciale (Salend & Duhaney, 2007). Inoltre l’accettazione è positivamente correlata con il tempo trascorso nelle classi inclusive (Freeman & Alkin, 2000). Vengono così confermati i dati di una ricerca da noi condotta in Italia (Vianello e Moalli, 2001), secondo cui il tempo trascorso assieme è una variabile determinante: gli alunni di quarta primaria e di terza secondaria di primo livello hanno una maggiore accettazione sociale del compagno con disabilità intellettiva rispetto a quelli di seconda primaria e di prima secondaria.
Può essere interessante evidenziare che secondo questa ultima ricerca l’accettazione sociale è comunque differenziata a seconda delle situazioni considerate. Essa è più bassa quando ci si riferisce al rendimento scolastico e maggiore nelle situazioni di aiuto.

I compagni di classe degli allievi con disabilità intellettive non imparano meno

Non sono molte le ricerche che hanno valutato le prestazioni degli allievi normodotati inseriti in classi in cui vi è anche un compagno con disabilità.
Dalla ricerca di McDonnel et al. (2003) risulta che l’apprendimento degli studenti senza disabilità nelle classi inclusive e in quelle tradizionali era equivalente, e questo fa pensare che la presenza degli studenti con disabilità evolutive non influisca negativamente sull’apprendimento degli studenti senza disabilità.
Secondo la ricerca di Cole, Waldron e Majd (2004) gli studenti senza disabilità inseriti nelle classi inclusive hanno evidenziato nel rendimento scolastico prestazioni superiori a quelle degli studenti di confronto nei setting tradizionali.

Quali classi inclusive?

Anche se la letteratura evidenzia i vantaggi dell’inserimento in classe normale rispetto a quello in scuola speciale, il fatto che non sempre ci siano questi vantaggi (Carlberg & Cavale, 1980; Epps & Tindal, 1988; Freeman & Alkin, 2000) invita a chiedersi quali siano le condizioni che caratterizzano le scuole che favoriscono i risultati maggiori.
La letteratura evidenzia l’importanza di una adeguata programmazione e la modifica dell’istruzione generale per adattarla anche ai bisogni degli studenti con disabilità.
In accordo anche con Waldron e McLeskey (2010) le variabili critiche sembrano quelle che seguono (Dyson, Farrell, Polat & Hutchson, 2004; Farrell, Dyson, Polat, Hutchson & Gallannaugh, 2007; Giangreco, 2009).

  • Atteggiamento accogliente nei confronti di tutti gli allievi.
  • Assistenti all’insegnamento (ad esempio insegnanti di sostegno).
  • Un insegnamento flessibile, che permetta la personalizzazione.
  • Didattiche flessibili, buone indipendentemente dalla presenza di allievi con disabilità.
  • Ritenere che l’istruzione degli allievi con disabilità sia “normale” responsabilità di un insegnante.
Fonti bibliografiche principali

Le indicazioni bibliografiche relative alle ricerche citate sono recuperabili nei seguenti articoli, scaricabili gratuitamente su www.lifespan.it 

Vianello, R., & Lanfranchi, S. (2009). Genetic syndromes causing mental retardation: Deficit and surplus in school performance and social adaptability compared to cognitive functioning. Life Span and Disability,12(1), 41-52.

Vianello, R., & Lanfranchi, S. (2011). Positive effects of the placements of students with intellectual developmental disabilities in typical class. Life Span and Disability, 14 (1), 75-84.

oppure nei volumi

Vianello, R., e Mammarella I. C. (2014). Psicologia delle disabilità. Bergamo: edizioni Junior.

Vianello, R. (2012). Potenziali di sviluppo e di apprendimento nelle disabilità intellettive. Trento: Erickson.

Renzo Vianello, 01.01.2023