Con l’espressione “permanenza dell’oggetto” nel bambino nel primo anno di vita (Piaget, 1937) ci si riferisce, in sintesi, al fatto che a partire dall’ottavo mese di vita il bambino rivela con i suoi comportamenti che nella sua mente vi è una qualche immagine di un oggetto anche quando non lo vede più. Proprio per questo cerca degli oggetti anche quando essi spariscono (ad esempio dietro uno schermo). Si tratta di una tappa cruciale nello sviluppo cognitivo, dato che gli elementi della realtà esterna iniziano ad essere rappresentati visivamente anche quando non sono presenti.
Fraiberg (1977), utilizzando oggetti sonori, ha studiato la permanenza dell’oggetto nei bambini ciechi, trovando, coerentemente con quanto emerso relativamente allo sviluppo motorio, un qualche ritardo. La cosa non dovrebbe sorprendere: carenze di esperienza visiva rallentano certi processi di sviluppo, anche se essi hanno delle basi maturazionali.
Numerosi e molto complessi dal punto di vista metodologico sono gli studi sulla permanenza dell’oggetto nei bambini con cecità (vedi ad esempio Bigelow, 1983; Rogers e Puchalski, 1988). Una sintesi ci è fornita da Pérez-Pereira e Conti-Ramsden a conclusione della loro rassegna di studi sull’argomento.

“Riassumendo, appare che i bambini abbiano uno sviluppo più lento nella nozione della permanenza dell’oggetto rispetto a quelli vedenti, a meno che non possano beneficiare di circostanze ambientali favorevoli, come per esempio la visione residua, che ne promuove lo sviluppo.” (1999; pag. 28).

Riferendosi agli studi di Piaget (1936 e 1937) sullo sviluppo cognitivo nei primi anni di vita sono state condotte ricerche anche sulla comparsa del pensiero simbolico, cioè sui fenomeni che maggiormente caratterizzano lo sviluppo cognitivo attorno ai 18 mesi di vita. Anche in questo caso i problemi metodologici sono complessi. Pensiamo al gioco con le bambole e ad altri giochi di finzione: risulta ovvio che la mancanza di stimoli visivi possa influire negativamente sul desiderio di giocare. I risultati delle ricerche sono complessi e a volte discordanti. In sintesi si può comunque concludere che i bambini non vedenti manifestano meno giochi simbolici dei bambini vedenti (soprattutto quelli meno evoluti sul piano sociale; vedi Bishop, Hobson e Lee, 2005), ma che questo fatto non autorizza a concludere che questo è indice generalizzato di ritardo cognitivo (anche se è ampia la variabilità nello sviluppo cognitivo dei bambini non vedenti).

Numerose sono state le ricerche sullo sviluppo del pensiero nei bambini non vedenti dopo i primi due anni di vita (e prima dei 10-12). Importante è il fatto che quando i compiti richiedono solo l’uso verbale, come quando si devono cogliere incongruità in indovinelli (Rogow, 1981) o si devono fare classificazioni verbali (Dimcovic e Tobin, 1995) le differenze tra non vedenti e vedenti tendono ad essere minime o a non esserci.

Se oggetto di studio è il pensiero formale (a partire dai primi anni dell’adolescenza), in cui molto importante è il ruolo del linguaggio, le prestazioni dei bambini non vedenti risultano come quelle dei bambini vedenti di pari età cronologica (Pérez-Pereira e Conti-Ramsden, 1999).

In sintesi la cecità può comportare un lieve ritardo nella motricità e nello sviluppo cognitivo nei primi anni di vita, ma con il passare del tempo esso viene eliminato. Un ruolo cruciale nel favorire questo “recupero” è dato dal linguaggio verbale.

Molto studiate sono state anche le nozioni spaziali nei non vedenti.
“Nonostante tutto gli adulti non vedenti sembra abbiano rappresentazioni dello spazio e capacità di orientamento simili a quelle degli adulti vedenti.” (Pérez-Pereira e Conti-Ramsden, 1999, pag. 38)

Quanto sopra si riferisce agli individui con cecità “pura”, cioè senza altre disabilità (ad esempio intellettive), che potrebbero essere responsabili di ritardi o differenze nello sviluppo.

Per i riferimenti bibliografici di queste pagine vedi Riferimenti bibliografici generali

Tratto, con modifiche (01.01.2023), da Vianello, R., e Mammarella I. C. (2014). Psicologia delle disabilità. Bergamo: edizioni Junior.