L’assenza della vista potrebbe pregiudicare le prime interazioni (ad esempio sorriso al volto umano e dialogo vis a vis) con i familiari. Spesso i genitori trovano, attraverso il contatto fisico e il linguaggio, modalità compensative per favorire l’interazione.

“Ad esempio la mamma (o chi per lei) può prendere la mano del bambino e muoverla secondo un ritmo accompagnato da vocalizzazioni e/o dal linguaggio, in forma di vero e proprio gioco, da proporre già nelle primissime fasi della vita.
Le persone che si prendono cura dei bambini non vedenti possono aiutarli a comprendere e prevedere gli eventi futuri fin dall’inizio, sfruttando quelle attività che il bambino quotidianamente intraprende, quali il mangiare, il fare il bagno, il vestirsi. Per esempio, è possibile immergere la mano del bambino nell’acqua prima che incominci a fare il bagno, in modo che il bambino possa anticipare la sequenza di azioni che seguirà, oppure prima di togliere la maglietta si può chiedere al bambino di alzare le braccia in alto, col risultato di renderlo partecipe alla routine. È ovvio che nell’interazione madre-bambino, specie inizialmente, è la madre che deve farsi carico di una parte se non di tutto il lavoro. Nel momento in cui le azioni quotidiane diventano delle routine il bambino ha l’opportunità di parteciparvi pienamente e di dirigere parte dell’attenzione verso altri stimoli, come per esempio verso il linguaggio o verso i gesti che accompagnano l’azione in corso ed è in questo senso che la capacità di anticipare, che si apprende attraverso le routine, è un requisito fondamentale per lo sviluppo della comunicazione. Negli esempi precedenti, infatti, lo scopo non è semplicemente quello di acquisire abilità (ad esempio farsi il bagno o vestirsi), ma quello di partecipare all’interazione, la quale permette l’attenzione condivisa e la comunicazione. … Gli adulti che hanno a che fare con i bambini non vedenti dovrebbero essere coscienti della necessità maggiore che questi bambini hanno di stabilire routine e cicli di interazione e più pazienti e attenti nel cogliere i segnali che indicano il loro coinvolgimento nell’interazione. I bambini non vedenti hanno maggiori difficoltà a cogliere i pattern che caratterizzano l’interazione sociale e le loro risposte a queste interazioni sono meno ovvie di quelle dei vedenti e spesso possono essere stravaganti (Preisler, 1991, 1997; Urwin, 1984). Per esempio, invece di girare il volto nella direzione da cui proviene il suono, i bambini non vedenti abbassano la testa o la girano prima da un lato e poi dall’altro, oppure quando si parla loro non sempre alzano la testa, ma la girano allontanandosi dalla fonte della voce. Quando la mamma si avvicina, il bambino non vedente muove le braccia e le gambe, ma usa questi stessi movimenti per esprimere i propri desideri ed intenzioni (ad esempio essere preso in braccio), oppure pur rimanendo girato da un altro lato rispetto alla mamma, può muovere le braccia e le gambe quando sente la voce ed immobilizzarsi invece quando sente la voce di un estraneo. Per le persone che si prendono cura dei bambini non vedenti è più difficile riconoscerne e negoziarne mutuamente le risposte, come pure stabilire interazioni sociali con loro, come evidenziato da Preisler (1997), il loro comportamento deve sempre essere udibile, leggibile e prevedibile. Ed è in questo senso che il linguaggio acquisisce un ruolo di compensazione, in quanto mantiene il contatto tra madri e bambini e permette di esprimere e di condividere le emozioni.
È molto importante che i bambini non vedenti, sin dall’inizio, esplorino attivamente l’ambiente che li circonda. Le persone che si prendono cura dei bambini non vedenti durante le conversazioni dovrebbero lasciarsi toccare le labbra, esplorare il volto e l’ambiente circostante. … Verso i 6.7 mesi, per promuovere lo sviluppo delle abilità di ricerca e di raggiungimento degli oggetti possono essere impiegati oggetti che emettono suoni (Bigelow, 1986, Urwin, 1984), oppure giochi che prevedono aiuti verbali o tattili. Verso i 9 mesi i bambini non vedenti e i loro genitori possono impegnarsi in una serie di giochi sociali che non prevedono l’utilizzo dell’informazione visiva, come le imitazioni vocali, i giochi in cui alternativamente si battono le mani, e tutti quelli che si basano sul contatto fisico e su sequenze prevedibili. ” (Pérez-Pereira e Conti-Ramsden, 1999, pp. 45-46)

Già nel primo, ma ancor più nel secondo anno di vita il ruolo del linguaggio diventa strumento cruciale, anche se non unico, di interazione e comunicazione.
Come per altre disabilità (uditive, motorie e intellettive) l’intervento dei genitori è più direttivo di quello dei genitori di bambini vedenti. Questo è fatto per favorire attraverso il linguaggio l’attenzione condivisa e le interazioni sociali.
Ardito, Adenzato, Dell’Osbel, Izard e Veglia (2004), dell’Università di Torino, hanno condotto una ricerca con 15 adulti con cecità congenita al fine di verificare se la direttività materna e l’eventuale iperprotezione nei primi anni di vita poteva avere avuto influenze negative o positive sullo sviluppo della personalità. I risultati non supportano l’ipotesi di effetti negativi, ma quella che la direttività e l’iperprotezione materna, se accompagnata da un atteggiamento affettivamente ricco e supportivo, risultano utili per lo sviluppo dell’individuo.

I genitori di un bambino con deficit visivo hanno in genere molto bisogno di essere aiutati nella loro opera educativa, al fine, tra l’altro, di:

  • evitare che si lascino prendere dallo sconforto o, ancor peggio, dai sensi di colpa;
  • evitare che reagiscano iperproteggendo il figlio;
  • suggerire loro come favorire nel bambino attività che stimolino la curiosità e l’iniziativa;v
  • evitare che diano troppa importanza ai ritardi nello sviluppo motorio e psicologico, dato che lo sviluppo in caso di disabilità visive è caratterizzato spesso da “recupero” con il passare del tempo;
  • dare una importanza relativa a comportamenti che nei bambini vedenti potrebbero essere un segnale di sviluppo psicopatologico, ma che spesso non hanno questo significato nei bambini non vedenti (ad esempio non risposta del sorriso al volto umano, scarsa espressività non verbale, manierismi, comportamenti similautistici).

Ideali sono gli interventi fin dalla nascita, valorizzanti non solo l’intervento sul bambino, ma anche un approfondito e costante counselling ai genitori.
Fin dai primi mesi di vita sono obiettivi privilegiati (Miller et al., 2002):

  • fornire stimoli per la funzionalità uditiva, tattile e motoria;
  • favorire la conoscenza del proprio corpo;
  • promuovere una esplorazione attiva dell’ambiente circostante;
  • favorire la funzionalità di eventuali capacità visive residue;
  • utilizzare il linguaggio anche per scopi diversi rispetto a quelli tipici con i bambini normodotati; ad esempio per avvisare che ci si sta avvicinando o che lo si toccherà per cambiargli la maglietta, per fornirgli informazioni mentre si muove nello spazio ecc.;
  • evitare l’iperprotezione (ad esempio per paura che si faccia male nel muoversi in una stanza) per viceversa aiutarlo con un monitoraggio essenziale.
Per i riferimenti bibliografici di queste pagine vedi Riferimenti bibliografici generali

Tratto, con modifiche (01.01.2023), da Vianello, R., e Mammarella I. C. (2014). Psicologia delle disabilità. Bergamo: edizioni Junior.