Sia in Italia che a livello internazionale si utilizza il termine riabilitazione (rehabilitation) per riferirsi anche ad interventi che sarebbe opportuno denominare abilitativi se essi hanno l’obiettivo di concorrere alla formazione di qualcosa di nuovo e non quello di recuperare, per quanto possibile, capacità perdute. Quando le disabilità fisiche e motorie sono congenite oppure acquisite in un periodo precedente l’emergere di una certa capacità (ad esempio a 6 mesi e quindi prima di imparare a camminare o a correre) gli interventi sono abilitativi in quanto concorrono al formarsi (allo sviluppo) di una certa abilità (abilità – abilitativi).

Quando si pensa alla riabilitazione è tipico immaginarsi una situazione caratterizzata da un individuo adulto (più raramente viene in mente un bambino o un ragazzo) che ha bisogno di intervento e un terapista che glielo fornisce in un ambiente particolarmente attrezzato.
Un buon modo di pensare all’abilitazione è invece pensare innanzitutto ad un bambino o un ragazzo (ma anche un adulto) inserito nel suo contesto familiare, scolastico e sociale: non solo, ma assieme agli altri (compagni di classe, di gioco ecc.). La letteratura sull’argomento evidenzia chiaramente che in un contesto inclusivo si ottengono risultati abilitativi migliori che in un contesto speciale (Giangreco, 2009; Scruggs e Michaud, 2009; Vianello e Lanfranchi, 2009; Tanti Burlò, 2010; Waldron e McLeskey, 2010; Vianello e Lanfranchi, 2011).
Questo non esclude interventi individuali, ma li considera come complementari a quelli attuati nelle situazioni normali. Per molti aspetti (senza negare la necessità di conoscenze e interventi anche specifici) l’abilitazione si realizza attraverso una educazione, una istruzione e una socializzazione ottimale per tutti. Attorno al 1930 Vygotskij (1986) aveva ben capito tutto ciò, dato che riteneva opportuno non inserire gli allievi con disabilità intellettive nelle scuole speciali.
Da questa assunzione di base deriva che:
– hanno compiti abilitativi non solo gli specialisti, ma anche gli educatori, gli insegnanti e gli operatori sociosanitari;
– accanto alle necessarie competenze specifiche gli specialisti per l’abilitazione dovrebbero avere una notevole conoscenza dello sviluppo tipico e non solo di quello atipico
– ideali sono le situazioni in cui vi è cooperazione con i compagni.
Sembra inoltre opportuno ricordare che una buona abilitazione (Vianello, 2012) richiede anche di valorizzare le competenze del bambino, rendendolo soggetto attivo della propria abilitazione (viceversa evitare situazioni passivizzanti); e di tener conto della notevole importanza della motivazione e dei valori (da cui derivano gli obiettivi da raggiungere).
Vianello, R., Lanfranchi, S., e Pulina, F. (2013). Abilitazione e riabilitazione cognitiva in una prospettiva “life span”. In S. Di Nuovo e R. Vianello (a cura di). Deterioramento cognitivo: forme, diagnosi e intervento. Una prospettiva life span (pp. 11-29). Milano: Franco Angeli. Pag. 19

Rispettando la prassi consolidata (pur sperando che le cose in futuro cambino) nelle righe che seguono si userà spesso il termine riabilitazione nel suo significato ampio (sia riabilitazione che abilitazione).

È risaputo che gli individui con disabilità fisiche e motorie hanno bisogno di vari tipi di intervento. Consideriamo quelli fisioterapici. La fisioterapia si occupa della prevenzione cura e riabilitazione delle persone con patologie o disfunzioni congenite oppure acquisite negli ambiti muscoloscheletrico, neurologico e viscerale. Ci sono interventi di vario tipo: terapia manuale-manipolativa, terapia posturale, massoterapia, chinesiterapia ecc. I fisioterapisti sono operatori sanitari laureati (in Italia dal 1999; o aventi titoli equipollenti conseguiti prima e previsti da un decreto ministeriale del 27 luglio 2000), che intervengono in varie aree: ortopedia, reumatologia, neurologia, cardiologia, pneumologia, geriatria, ginecologia, pediatria, urologia ecc. Il trattamento fisioterapico si prefigge essenzialmente di ridurre-annullare l’eventuale sofferenza e di migliorare il funzionamento delle strutture neuro-muscolo-scheletriche disfunzionali e sintomatiche.
Una buona riabilitazione tiene conto delle attività quotidiane e delle risorse messe in campo dal paziente.
Interventi fisioterapici ottimali richiedono collaborazione con altri operatori socio-psico-sanitari (tra cui il fisiatra), con i familiari e, in età scolastica, con gli insegnanti.

DECRETO 14 settembre 1994, n. 741
Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale del fisioterapista

IL MINISTRO DELLA SANITA’
Visto OMISSIS
A D O T T A
il seguente regolamento:

Art. 1.

1. È individuata la figura del fisioterapista con il seguente profilo: il fisioterapista è l’operatore sanitario, in possesso del diploma universitario abilitante, che svolge in via autonoma, o in collaborazione con altre figure sanitarie, gli interventi di prevenzione, cura e riabilitazione nelle aree della motricità, delle funzioni corticali superiori, e di quelle viscerali conseguenti a eventi patologici, a varia eziologia, congenita od acquisita.
2. In riferimento alla diagnosi ed alle prescrizioni del medico, nell’ambito delle proprie competenze, il fisioterapista:
a) elabora, anche in equipe multidisciplinare, la definizione del programma di riabilitazione volto all’individuazione ed al superamento del bisogno di salute del disabile;
b) pratica autonomamente attività terapeutica per la rieducazione funzionale delle disabilità motorie, psicomotorie e cognitive utilizzando terapie fisiche, manuali, massoterapiche e occupazionali;
c) propone l’adozione di protesi ed ausili, ne addestra all’uso e ne verifica l’efficacia;
d) verifica le rispondenze della metodologia riabilitativa attuata agli obiettivi di recupero funzionale.
3. Svolge attività di studio, didattica e consulenza professionale, nei servizi sanitari ed in quelli dove si richiedono le sue competenze professionali;
4. Il fisioterapista, attraverso la formazione complementare, integra la formazione di base con indirizzi di specializzazione nel settore della psicomotricità e della terapia occupazionale:
a) la specializzazione in psicomotricità consente al fisioterapista di svolgere anche l’assistenza riabilitativa sia psichica che fisica di soggetti in età evolutiva con deficit
neurosensoriale o psichico;
b) la specializzazione in terapia occupazionale consente al fisioterapista di operare anche nella traduzione funzionale della motricità residua, al fine dello sviluppo di compensi funzionali
alla disabilità, con particolare riguardo all’addestramento per conseguire l’autonomia nella vita quotidiana, di relazione (studio-lavoro-tempo libero), anche ai fini dell’utilizzo di vari tipi di ausili in dotazione alla persona o all’ambiente.
5. Il percorso formativo viene definito con decreto del Ministero della sanità e si conclude con il rilascio di un attestato di formazione specialistica che costituisce titolo preferenziale per l’esercizio delle funzioni specifiche nelle diverse aree, dopo il superamento di apposite prove valutative. La natura preferenziale del titolo è strettamente legata alla sussistenza di obiettive necessità del servizio e recede in presenza di mutate condizioni di fatto.
6. Il fisioterapista svolge la sua attività professionale in strutture sanitarie, pubbliche o private, in regime di dipendenza o libero-professionale.

Art. 2.
1. Il diploma universitario di fisioterapista conseguito ai sensi dell’art. 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, abilita all’esercizio della professione.

Art. 3.
1. Con decreto del Ministro della sanità di concerto con il Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica sono individuati i diplomi e gli attestati, conseguiti in base al precedente ordinamento, che sono equipollenti al diploma universitario di cui all’art. 2 ai fini dell’esercizio della relativa attività professionale e dell’accesso ai pubblici uffici.
OMISSIS

Renzo Vianello 01.01.2023