È opinione diffusa che una buona classe inclusiva richieda innanzitutto collaborazione fra gli insegnanti. Molto è stato scritto al proposito. Spesso per evidenziare cosa si dovrebbe fare. In queste righe cambiamo prospettiva riportando cosa è stato fatto nelle esperienze di inclusione presenti in questo sito.
Lo facciamo riportando il commento fatto da chi ha coordinato come esperto la presentazione di tali esperienze.
Interessandomi di integrazione-inclusione dal 1975 (sì, ho la mia età) mi permetto alcune considerazioni generali.
Mi ha fatto molto piacere ritrovare in molte esperienze l’applicazione dell’insegnamento differenziato (al centro delle mie proposte operative), consistente nell’offerta dello stesso argomento a tutta la classe e chiedendo a ciascuno di produrre qualcosa secondo le proprie possibilità. Differenziato non è quindi l’argomento generale, ma ciò che con esso si produce. Ovviamente questo richiede una buona conoscenza delle possibilità dell’alunno o studente.
Ideale è un lavoro differenziato che proponga argomenti ampi ed interdisciplinari.
Il miglior modo di proporre l’insegnamento differenziato è attraverso lavori di gruppo. Questa modalità è presente in tutte le esperienze presentate. È uno dei “regali” che lavorare con la disabilità ha fatto anche alle classi in cui l’alunno con disabilità non è presente. Una volta imparato a lavorare per piccoli gruppi, come si fa ad abbandonare questa modalità di insegnamento? Un altro “regalo” si ha quando le sfide dell’integrazione favoriscono la collaborazione fra gli insegnanti.
Nella rassegna di esperienze troviamo anche il tutoraggio (di ragazzi più grandi o più competenti). Mi piace sottolineare come un modo ottimale per imparare qualcosa è prepararsi per insegnarla. Ecco perché il tutor trae profitto dalla sua attività. Nel decentrarsi, come si deve fare quando si insegna, progredisce nella sua conoscenza.
Più in generale è emerso che il rapporto con i compagni è considerato cruciale e fonte fondamentale di progressi.
Ho apprezzato che in varie esperienze non ci si sia limitati a favorire i rapporti sociali e le capacità adattive, ma che si siano posti espliciti obiettivi di abilitazione. Troppo spesso nella scuola l’enfasi sul “vogliamoci bene” ha nascosto carenze nell’intervento scolastico e abilitativo. Mi riferisco ad esempio al fatto che ci sono ancora bambini con disabilità intellettiva che hanno le potenzialità per imparare a leggere e a scrivere, ma che di fatto non hanno imparato. E altro esempio potremmo fare per le abilità di calcolo (per quanto elementari).
In tutte le esperienze molta importanza è stata attribuita alla costruzione di un clima positivo altamente motivante. Credo che di per sé questo sia garanzia di successo.
In più di una esperienza è risultata buona la collaborazione con gli operatori della Neuropsichiatria infantile. Non sempre è scontata.
Nella mia lunga esperienza ho notato che più gli insegnanti sono professionalmente preparati e maggiormente sono convinti dell’importanza della collaborazione con la famiglia. Certo, anche i familiari sbagliano. Non è questo il punto. Ciò che conta è capire che più si soffre e più si rischia di sbagliare e che l’atteggiamento più adeguato è quello dell’accoglienza e non della critica.
Ho anche constatato che sono gli insegnanti più preparati quelli che più si aggiornano e meno pretendono che siano gli altri ad aiutarli.
Mi auguro vivamente che in futuro questo sito ospiti ulteriori esperienze come quelle presentate.
Renzo Vianello