Disturbo da deficit di attenzione e iperattività (Attention Deficit Hyperactivity Disorder; ADHD): prevalenza, tipologia, cause e diagnosi

Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività, facente parte dei Disturbi del neurosviluppo, (ICD-11, codice 6A05; traduzione non ufficiale essendo per ora disponibile solo la versione originale in inglese) è caratterizzato da un modello persistente (almeno 6 mesi) di disattenzione e/o iperattività-impulsività che ha un impatto negativo diretto sul funzionamento scolastico, lavorativo o sociale. Sintomi significativi di disattenzione e/o iperattività-impulsività si manifestano prima dei 12 anni, fin dalla prima infanzia o poco dopo, anche se alcuni individui possono venire all’attenzione clinica per la prima volta successivamente (di solito durante la scuola primaria). Il grado di disattenzione e iperattività-impulsività è al di fuori dei limiti della normale variazione prevista per età e livello di funzionamento intellettuale. La disattenzione si riferisce a una significativa difficoltà nel mantenere l’attenzione su compiti che richiedono uno sforzo cognitivo o che non forniscono un alto livello di stimolazione o frequenti ricompense, ad una facile distraibilità e a problemi di organizzazione. L’iperattività si riferisce all’eccessiva e spesso afinilistica attività motoria e alla difficoltà a rimanere fermi, più evidenti in situazioni strutturate che richiedono autocontrollo comportamentale. L’impulsività è una tendenza ad agire in maniera immediata e impulsiva (appunto) in risposta a stimoli, senza deliberazione o considerazione dei rischi e delle conseguenze. Le manifestazioni specifiche delle caratteristiche disattente e iperattive-impulsive variano tra gli individui e possono cambiare nel corso dello sviluppo. Per formulare una diagnosi è necessario che le manifestazioni di disattenzione e/o iperattività-impulsività siano persistenti (duraturi nel tempo) e pervasive, ossia devono essere evidenti in più situazioni o contesti (ad esempio, casa, scuola, lavoro, con amici o parenti), ma è probabile che varino in base alla struttura e alle esigenze del setting. I sintomi non sono meglio spiegati da un altro disturbo mentale, comportamentale o dello sviluppo neurologico e non sono dovuti all’effetto di una sostanza o di un farmaco.

Diagnosi e tipologia
L’ICD-11 considera 3 tipologie di base (+ 2 per le situazioni particolari o non specificate). Le presentiamo analiticamente anche se questo comporta molte ripetizioni con quanto scritto sopra e confrontando le tipologie fra di loro.

6A05.0 Disturbo da deficit di attenzione e iperattività, manifestazione con disattenzione predominante
Tutti i requisiti per definizione il disturbo da deficit di attenzione e iperattività sono soddisfatti e i sintomi di disattenzione sono predominanti nella presentazione clinica. La disattenzione si riferisce a una significativa difficoltà nel mantenere l’attenzione su compiti che non forniscono un alto livello di stimolazione o frequenti ricompense, distraibilità e problemi con l’organizzazione. Alcuni sintomi iperattivi-impulsivi possono anche essere presenti, ma questi non sono clinicamente significativi rispetto ai sintomi di disattenzione.

6A05.1 Disturbo da deficit di attenzione e iperattività, manifestazione con iperattività-impulsività predominanti
Tutti i requisiti per definire il disturbo da deficit di attenzione e iperattività sono soddisfatti e i sintomi iperattivi-impulsivi sono predominanti nella presentazione clinica. L’iperattività si riferisce all’eccessiva attività motoria e alle difficoltà a rimanere fermi, più evidenti in situazioni strutturate che richiedono autocontrollo comportamentale. L’impulsività è una tendenza ad agire in risposta a stimoli immediati, senza deliberazione o considerazione dei rischi e delle conseguenze.
Possono anche essere presenti alcuni sintomi di disattenzione, ma questi non sono clinicamente significativi rispetto ai sintomi iperattivi-impulsivi.

6A05.1 Disturbo da deficit di attenzione e iperattività, manifestazione combinata (compresenza di disattenzione e iperattività-impulsività)
Tutti i requisiti per definire il disturbo da deficit di attenzione e iperattività sono soddisfatti. Sia i sintomi disattenti che quelli iperattivi-impulsivi sono clinicamente significativi, e nessuno dei due predomina nella presentazione clinica. La disattenzione si riferisce a una significativa difficoltà nel mantenere l’attenzione su compiti che non forniscono un alto livello di stimolazione o frequenti ricompense, distraibilità e problemi con l’organizzazione. L’iperattività si riferisce all’eccessiva attività motoria e alla difficoltà a rimanere fermi, più evidenti in situazioni strutturate che richiedono autocontrollo comportamentale. L’impulsività è una tendenza ad agire in risposta a stimoli immediati, senza deliberazione o considerazione dei rischi e delle conseguenze.

6A05.Y Disturbo da deficit di attenzione e iperattività, con altra specificazione

6A05.Z Disturbo da deficit di attenzione e iperattività, senza specificazione

Il DSM-5 (2013), cronologicamente precedente, preferisce l’espressione “attenzione/iperattività” a attenzione e iperattività”. Nella traduzione italiana viene usato l’acronimo DDAI (Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività). Una consultazione fra studiosi del settore promossa dall’AIRIPA (Associazione Italiana per la Ricerca e l’Intervento nella Psicopatologia dell’Apprendimento) ha evidenziato che la maggioranza preferisce l’acronimo ADHD (Attention Deficit Hyperactivity Disorder).
Il DSM-5 propone 9 criteri diagnostici per la disattenzione e 9 per l’iperattività e impulsività specificando che per la diagnosi sono necessari almeno 6 sintomi per gli individui al di sotto dei 17 anni e almeno cinque per quelli al di sopra (di intensità tale da avere effetti negativi a livello sociale e scolastico-lavorativo) presenti per almeno 6 mesi sia per la disattenzione che per l’iperattività e impulsività.

DSM-5: criteri diagnostici per la disattenzione e per l’iperattività e impulsività

A. Un pattern persistente di disattenzione e/o iperattività-impulsività che interferisce con il funzionamento o lo sviluppo, come caratterizzato da (1) e/o (2):

1. Disattenzione: 6 o più dei seguenti sintomi si sono mantenuti per almeno 6 mesi con un’intensità incompatibile con il livello di sviluppo e che ha un impatto negativo diretto sulle attività sociali e scolastiche/lavorative.
Nota: i sintomi non sono soltanto una manifestazione di comportamento oppositivo, sfida, ostilità o incapacità di comprendere i compiti o le istruzioni. Per gli adolescenti più grandi e per gli adulti (17 anni e oltre d’età) sono richiesti almeno cinque sintomi.

    1. Spesso non riesce a prestare attenzione ai particolari o commette errori di distrazione nei compiti scolastici, sul lavoro o in altre attività (per esempio trascura o omette dettagli, il lavoro non è accurato).
    2. Ha spesso difficoltà a mantenere l’attenzione sui compiti o sulle attività di gioco (per esempio ha difficoltà a rimanere concentrato/a durante una lezione, una conversazione o una lunga lettura).
    3. Spesso non sembra ascoltare quando gli/le si parla direttamente (per esempio la mente sembra altrove, anche in assenza di distrazioni evidenti).
    4. Spesso non segue le istruzioni e non porta a termine i compiti scolastici, le incombenze o i doveri sul posto di lavoro (per esempio inizia i compiti ma perde rapidamente la concentrazione e viene distratto/a facilmente).
    5. Ha spesso difficoltà a organizzarsi nei compiti e nelle attività (per esempio difficoltà nel gestire compiti sequenziali; difficoltà nel tenere in ordine materiali e oggetti; lavoro disordinato, disorganizzato; gestisce il tempo in modo inadeguato, non riesce a rispettare le scadenze).
    6. Spesso evita, prova avversione o è riluttante a impegnarsi in compiti che richiedono sforzo mentale protratto (per esempio compiti scolastici o compiti a casa; per gli adolescenti più grandi e gli adulti, stesura di relazioni, compilazione di moduli, revisione di documenti).
    7. Perde spesso gli oggetti necessari per i compiti o le attività (per esempio materiale scolastico, matite, libri, strumenti, portafogli, chiavi, documenti, occhiali, telefono cellulare).
    8. Spesso è facilmente distratto/a da stimoli esterni (per gli adolescenti più grandi e gli adulti, possono essere compresi pensieri incongrui).
      È spesso sbadato/a nelle attività quotidiane (per esempio sbrigare le faccende; fare commissioni; per gli adolescenti più grandi e per gli adulti, ricordarsi di fare una telefonata; pagare le bollette; prendere appuntamenti).

2. Iperattività e impulsività: 6 o più dei seguenti sintomi persistono per almeno 6 mesi con un’intensità incompatibile con il livello di sviluppo e che ha un impatto negativo diretto sulle attività sociali e scolastiche/lavorative.
Nota: i sintomi non sono soltanto una manifestazione di comportamento oppositivo, sfida, ostilità o incapacità di comprendere i compiti o le istruzioni. Per gli adolescenti più grandi e per gli adulti (età di 17 anni e oltre) sono richiesti almeno cinque sintomi.

      1. Spesso agita o batte mani e piedi o si dimena sulla sedia.
      2. Spesso lascia il proprio posto in situazioni in cui si dovrebbe rimanere seduti (per esempio lascia il posto in classe, in ufficio o in un altro luogo di lavoro, o in altre situazioni che richiedono di rimanere al proprio posto).
      3. Spesso scorrazza e salta in situazioni in cui farlo risulta inappropriato. (Nota: negli adolescenti e negli adulti può essere limitato al sentirsi irrequieti.)
      4. È spesso incapace di giocare o svolgere attività ricreative tranquillamente.
      5. È spesso «sotto pressione», agendo come se fosse «azionato/a da un motore» (per esempio è incapace di rimanere fermo/a, o si sente a disagio nel farlo, per un periodo di tempo prolungato, come nei ristoranti, durante le riunioni; può essere descritto/a dagli altri come una persona irrequieta o con cui è difficile avere a che fare).
      6. Spesso parla troppo.
      7. Spesso «spara» una risposta prima che la domanda sia stata completata (per esempio completa le frasi dette da altre persone; non riesce ad attendere il proprio turno nella conversazione).
      8. Ha spesso difficoltà nell’aspettare il proprio turno (per esempio mentre aspetta in fila).
      9. Spesso interrompe gli altri o è invadente nei loro confronti (per esempio interrompe conversazioni, giochi o attività; può iniziare a utilizzare le cose degli altri senza chiedere o ricevere il permesso; adolescenti e adulti possono inserirsi o subentrare in ciò che fanno gli altri).

B. Diversi sintomi di disattenzione o di iperattività-impulsività devono essere presenti prima dei 12 anni.
C. Diversi sintomi di disattenzione o di iperattività-impulsività si presentano in due o più contesti (per esempio a casa, a scuola o al lavoro; con amici o parenti; in altre attività).
D. Vi è una chiara evidenza che i sintomi interferiscono con, o riducono, la qualità del funzionamento sociale, scolastico o lavorativo.
E. I sintomi non si presentano esclusivamente durante il decorso della schizofrenia o di un altro disturbo psicotico e non sono meglio spiegati da un altro disturbo mentale (per esempio disturbo dell’umore, disturbo d’ansia, disturbo dissociativo, disturbo di personalità, intossicazione o astinenza da sostanze).

Fonte: APA [2013].

Sulla base della quantità dei sintomi e degli effetti sulla qualità della vita la diagnosi può distinguere le situazioni lievi da quelle moderate e da quelle gravi.

Se negli ultimi sei mesi alcuni sintomi non sono più presenti, ma permangono effetti negativi a livello sociale, scolastico o lavorativo nella diagnosi può essere specificato: in remissione parziale.

Prevalenza  
Il DSM-5 (2013) sintetizza i risultati di ricerche in varie culture come segue: 5% nei bambini e 2,5% negli adulti. Marzocchi, Re e Cornoldi (2023) sintetizzano i risultati di oltre 250 studi confermando il 5%.

Comorbilità
Dati riassuntivi sulla comorbilità sono presenti nel DSM-5. La comorbilità con l’ADHD è molto frequente. In primo luogo con i disturbi esternalizzanti ed in particolare il disturbo oppositivo provocatorio (circa il 50% in chi ha una manifestazione combinata e il 25% in chi ha una manifestazione con disattenzione predominante) e  il disturbo della condotta (circa il 25% in chi ha una manifestazione combinata). Ci sono inoltre significative comorbilità con i disturbi internalizzanti, quali i disturbi d’ansia e dell’umore. Infine una terza categoria consistente di disturbi che spesso si manifestano in comorbilità con l’ADHD sono i Disturbi dell’apprendimento (DSA).  Marzocchi, Re e Cornoldi (2023) riportano dati di ricerca che evidenziano che la dislessia sembra essere uno dei DSA più frequentemente in comorbilità con l’ADHD (crica il 42% dei casi). Minori, ma comunque importanti, sono i casi di comorbilità con problemi di scrittura e in matematica.

Cause
Non è stata identificata una causa biologica unica dell’ADHD. Tra gli studiosi è comunque praticamente unanime la convinzione che ci sono delle condizioni biologiche che concorrono all’emergere dell’ADHD. Altrettanto diffusa è la convinzione che alcune cause ambientali alzano il rischio che esso si manifesti o perlomeno possono concorrere a renderlo più grave. Si potrebbe anche sostenere che i fattori biologici pongono le basi organiche del disturbo e i fattori ambientali concorrono a definirne la manifestazione e la gravità.

Le ricerche volte a definire i fattori organici hanno evidenziato che gli individui con ADHD rispetto alla popolazione generale hanno (non tutti, ma in quantità statisticamente significativa) regioni del cervello e del cervelletto di dimensioni inferiori e alcune di queste sono coinvolte nella regolazione delle funzioni attentive, di regolazione delle risposte emotive e di pianificazione e controllo dei movimenti (corteccia prefrontale destra, nucleo caudato, globo pallido, cervelletto ecc.). È una ipotesi accreditata che il deficit non consista in un danno cerebrale, ma in disfunzioni nello sviluppo cerebrale.

Particolarmente studiato è stato il ruolo della dopamina, un neurotrasmettitore con funzioni inibitorie e di modulazione dell’attività di altri neuroni. Negli individui con ADHD sarebbe ridotta la capacità di inibire comportamenti inadeguati. Su questi studi si basa la proposta di uno psicofarmaco come il metilfenidato, che agisce sulla regolazione del riassorbimento della dopamina.

Sono numerose anche le ricerche sui fattori genetici dell’ADHD, coinvolgendo anche i familiari. Un esempio è lo studio europeo condotto dal gruppo dell’EUNETHYDIS (European Network of Hyperkinetic Disorder) sulla genetica dei bambini con ADHD e sulla manifestazione comportamentale di questi e dei loro fratelli (Sonuga-Barke & Sergeant, 2005). I risultati hanno evidenziato che fratelli e sorelle di bambini con ADHD hanno una probabilità di sviluppare la sindrome da cinque a sette volte superiore rispetto al resto della popolazione (vedi anche Biederman, Faraone, Keenan et al., 1990). Allo stesso modo, i figli di genitori con ADHD hanno fino al 50% di probabilità di svilupparla. Importanti sono anche i risultati di ricerche su gemelli mono ed eterozigoti. Stando ai risultati di alcuni studi, la probabilità di sviluppare la patologia per un gemello monozigote è pari all’81%, mentre, per un gemello dizigote, scende al 29% (Gillis, Gilger, Pennington, Defries, 1992). Stevenson (1994), riassumendo le ricerche condotte su gemelli mono ed eterozigoti, conclude che l’ADHD sarebbe determinato per l’80% da fattori ereditari.

Un ruolo significativo sull’ADHD è giocato anche dai fattori ambientali.

Barkley (1997) elenca i fattori di rischio associati alla genesi dell’ADHD, qui riassunti in ordine di importanza:

  1. presenza di disturbi psicologici nei familiari, in particolare l’ADHD stesso;
  2. abuso di sigarette e alcool della madre durante la gravidanza, associato o meno ad altri problemi di salute della madre;
  3. assenza di un genitore o educazione non adeguata;
  4. problemi di salute o ritardi di sviluppo nel bambino;
  5. precoce insorgenza, nel bambino, di elevati livelli di attività motoria;
  6. atteggiamenti critici e/o direttivi della madre durante i primi anni di vita del bambino.

In contrapposizione ai fattori di rischio è stata redatta una lista di fattori protettivi che aiutano il ragazzo a limitare gli esiti negativi dell’ADHD (Campbell, 1994), tra i quali ci sono:

  • un elevato livello di scolarizzazione della madre
  • la buona salute del bambino dopo la nascita,
  • buone capacità cognitive del bambino
  • la stabilità della famiglia.

Renzo Vianello e Anna Maria Re, 21.01.2023

Per i riferimenti bibliografici di queste pagine vedi Riferimenti bibliografici generali

Fonti bibliografiche principali

American Psychiatric Association (2013). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (5th ed.). Arlington, VA: American Psychiatric Publishing. (Trad. 2014. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Quinta edizione. Milano: Raffaello Cortina).

Cornoldi, C. (2023) (a cura di). I disturbi dell’apprendimento. Bologna: Il Mulino.

Vianello, R., e Mammarella I. C. (2014). Psicologia delle disabilità. Bergamo: edizioni Junior.

Per ICD-11   https://icd.who.int

La parte dedicata alle cause consiste in una sintesi, con alcune parti riportate integralmente, di quanto scritto in Vianello e Mammarella, 2014, pag. 146 e seguenti.