Per meglio comprendere cosa succede in famiglia nei primi anni di vita di un bambino con disturbo dello spettro dell’autismo sono opportune alcune distinzioni a seconda del fatto che siano o no presenti delle comorbilità. Consideriamo almeno le tre situazioni che seguono.

  1. Disturbo dello spettro dell’autismo con disabilità intellettiva (e conseguente ritardo anche nello sviluppo linguistico)
  2. Disturbo dello spettro dell’autismo con disturbo del linguaggio, ma senza disabilità intellettiva
  3. Disturbo dello spettro dell’autismo con sviluppo intellettivo e linguistico nella norma.

Nel primo caso già nel primo anno di vita la grande maggioranza dei genitori nota l’emergere di certi comportamenti tipici in ritardo rispetto a quanto ci si aspetta. Ad esempio:

  • sorriso al volto umano dalla fine del secondo al terzo mese di vita
  • interazione con i genitori mediata nella vita quotidiana: partecipare o no al cambio del pannolino o dei vestiti, al bagno, all’essere preso in braccio, al condividere le attività con gli oggetti ecc.
    gattonare
  • atto di indicare nei primi 10-12 mesi di vita
  • primi passi a 12 mesi circa
  • prime parole a 12 mesi circa

Ovviamente qualche genitore lo nota di più e altri di meno, anche a seconda della conoscenza diretta o per studio dello sviluppo dei bambini nei primi anni di vita.
Quanta importanza ci danno?
Sono preoccupati che ci sia un ritardo nello sviluppo generale?
È semplice per loro confrontarsi con degli specialisti?
In ogni caso se c’è un qualche sospetto esso ha quasi sempre a che fare con la disabilità intellettiva. E anche nel caso, non frequente, in cui ci sia un contatto con uno specialista proprio di disturbo dello spettro autistico è molto raro che nel primo anno di vita ci sia già una diagnosi di disabilità intellettiva e disturbo dello spettro dell’autismo. Al massimo i genitori possono sentire frasi più o meno come questa: “C’è un po’ di ritardo nello sviluppo generale. È bene seguirlo per vedere come si evolve. In particolare controlliamo i suoi comportamenti comunicativi.”
Rarissime sono le situazioni in cui i genitori sono seguiti per un counselling mirato e costante.
In definitiva di norma si pensa più alla possibile disabilità intellettiva che non alla presenza di disturbo dello spettro dell’autismo. Con il passare del tempo tuttavia si attribuisce sempre più importanza al fatto che il bambino o la bambina comunica poco, se ne sta per conto proprio, si relaziona molto poco con gli altri ecc.
Teoricamente sarebbe possibile una diagnosi di disturbo dello spettro dell’autismo con disabilità intellettiva abbastanza precocemente. Di fatto, anche da parte di molti specialisti “si temporeggia”. Ciò che conta è se questa attesa di diagnosi ostacola un intervento adeguato oppure no.

Il secondo caso, caratterizzato da compresenza di disturbo del linguaggio e disturbo dello spettro dell’autismo è ben diverso dal primo per i genitori. Di norma ci si preoccupa del ritardo linguistico dopo i 12-15 mesi. È inoltre diffusa la convinzione, corretta, che ampia è la gamma nello sviluppo linguistico e che un lieve ritardo del linguaggio non è indice di ritardo nello sviluppo dell’intelligenza.
Il punto critico è: nel primo anno di vita del figlio i genitori danno importanza al fatto che il figlio manifesta comportamenti comunicativi e sociali poveri e particolari?
In caso positivo ne parlano tra di loro esprimendo le proprie preoccupazioni? Ritengono opportuno rivolgersi ad uno specialista?
È probabile che nel secondo e soprattutto nel terzo anno di vita del figlio sentano l’esigenza di contattare qualcuno. Se il figlio frequenta l’Asilo Nido può anche essere che le educatrici segnalino comportamenti anomali.
A proposito di specialisti: purtroppo non tutti sono esperti di diagnosi precoci.

Il terzo caso è decisamente più specifico. Non ci sono indici di ritardo nello sviluppo intellettivo e nemmeno nello sviluppo linguistico. Sono presenti difficoltà nei rapporti comunicativi e sociali. Eventuali comportamenti ripetitivi e interessi ristretti si rivelano chiaramente solo con il passare degli anni.
Rivolgersi ad uno specialista dipende anche dalla gravità del disturbo dello spettro dell’autismo. Certi comportamenti possono essere vissuti come “strani”, ma non indice di patologia. E la diagnosi può essere più tardiva rispetto ai primi due casi. Se il figlio o figlia è ben dotato intellettualmente i sintomi possono inoltre essere molto lievi, ben compensati.
In alcuni casi il disturbo può rivelarsi chiaramente ai genitori solo nell’adolescenza.
Spesso ci si riferisce a casi caratterizzati da intelligenza superiore alla media con la diagnosi di Sindrome di Asperger.

Per i genitori è spesso molto stressante gestire il rapporto con il figlio o figlia con autismo.
Le difficoltà di interazione previste dal disturbo disorientano. Molto scarse possono essere le manifestazioni di affetto. L’empatia è carente. I genitori possono sentirsi “ignorati” emotivamente.
Possono esserci problemi comportamentali seri, ad esempio schiaffeggiarsi o battere la testa sul muro o sul tavolo come reazione a rumori o luci troppo forti (ed è arduo capire che quella è la causa) oppure pianti disperati (perché un cibo non è come previsto; e anche in questo caso è una impresa capire che quella è la causa).
Impegnativo è andare incontro a dei bisogni se tuo figlio non si fa capire e si dispera perché non sa comunicare.
A volte la situazione è resa ancora più complessa per la presenza di iperattività, problemi nel ritmo sonno-veglia e nell’alimentazione.
Per ulteriori indicazioni valide anche nel contesto scolastico vedi A scuola.

Qualsiasi aiuto si voglia dare ai genitori non può prescindere dal tener conto di quanto sia impegnativo educare un figlio con disturbo dello spettro dell’autismo. Pretendere che non “sbaglino” è irrealistico. Per essere utili è opportuno accettarli con i loro limiti.

“Anzitutto un bambino autistico ha bisogno di amore, proprio come chiunque altro. […] Sarebbe desiderabile che fosse fornito un ambiente strutturato, senza badare all’età e al livello intellettivo. […] Un approccio all’insegnamento che sia fermo, tranquillo e rassicurante va bene per i bambini autistici nello stesso modo in cui è raccomandabile per qualsiasi altro bambino. Gli insegnanti dotati sono un lusso raro, ma se persone del genere si prendono cura di un bambino autistico l’effetto può essere eccellente. Possono essere insegnate molte cose, nei limiti delle capacità del bambino: il linguaggio, il comportamento sociale, le abilità scolastiche, conoscenze sul mondo, le tecniche artistiche, la cura della casa e della salute e specifiche abilità lavorative.
Nella mia personale esperienza sono stata colpita dalla capacità e dalla devozione di molti genitori, insegnanti e terapisti che hanno ottenuto risultati pur senza credere nei miracoli. Posso anche comprendere come dei genitori disperati siano stati catturati da “campagne” pubblicitarie che costituiscono solo un danno per la riabilitazione. Va ricordato che questo, dopotutto, è un affare di miliardi. Ci vuole ancora molto perché si arrivi a formulare raccomandazioni precise basate su una solida base scientifica. Non possiamo attendere una pillola magica o una scorciatoia segreta verso la normalità. È invece ancora una buona idea quella di proseguire con i migliori metodi disponibili di educazione e cura. È altresì necessario considerare criticamente quei trattamenti che si basano su fondamenti cosiddetti scientifici, ma non dimostrati e che fanno un gran danno senza aiutare affatto il bambino. Quando l’efficacia e il successo sono garantiti da persone di successo, allora è chiaro che mancano le prove scientifiche! […] Questo deficit è di natura più simile alla cecità o alla sordità che, diciamo, alla timidezza. Immaginate di crescere un bambino cieco senza che vi rendiate conto che è cieco. È facile che ci si spazientisca con un bambino che urta continuamente le cose! Un bambino non apprende bene da un insegnante impaziente o nervoso. Quindi è importante per tutti gli insegnanti, i terapisti, i genitori e gli amici avere una qualche conoscenza della natura del deficit.

Frith, U., (1989). Autism. Explaining the Enigma. Oxford: Blackwell. (Trad. 1996, L’autismo. Spiegazione di un enigma. Bari: Laterza. Pp. 226.227).

Alcuni strumenti, quali il Parenting Stress Index- short form (Abidin, 1990) consentono di individuare i comportamenti che rischiano di far vivere in modo disfunzionale il proprio ruolo genitoriale. Il questionario, composto di 36 item, indaga il livello di stress del genitore, l’interazione genitore-bambino e la presenza di caratteristiche che rendono il bambino difficile da gestire. Anche la Social Responsiveness Scale (Costantino & Gruber, 2002) è un questionario, composto di 65 item, molto utile per misurare la percezione dei genitori riguardo alle modalità di comportamento tipiche dei bambini con autismo, quali ad esempio, il comportamento sociale reciproco, la comunicazione e la presenza di comportamenti stereotipati.

Vianello, R., e Mammarella I. C. (2014). Psicologia delle disabilità. Bergamo: edizioni Junior. Pag. 135

Renzo Vianello, 10.01.2023