Molti sono gli approcci abilitativi ed educativi. Si veda al proposito Abilitazione
Per l’insegnante è opportuno conoscerli, se non altro per poter meglio collaborare con eventuali abilitatori e con i genitori.
In questo contesto ci sembrano opportune alcune riflessioni (riprese, con modifiche, dalle opere di cui sotto) riferite specificamente alla realtà scolastica.

1. Ogni intervento richiede tre tipi di conoscenze di base relative a:

  • lo sviluppo normale,
  • quello degli individui con disabilità intellettive e/o disturbi del linguaggio (nella grande maggioranza dei casi)
  • e quello che caratterizza i disturbi dello spettro dell’autismo (socializzazione, comunicazione, interessi).

2. Fondamentale è un programma di intervento che coinvolga familiari, insegnanti ed operatori sociosanitari. È opportuno che ciascun insegnante sia massimamente disponibile per questa collaborazione. L’insegnante di sostegno in particolare dovrebbe favorire il coinvolgimento di tutti i colleghi e quello con gli operatori sociosanitari. Prendendo l’iniziativa.

3. Un ambiente strutturato e familiare è molto utile. Che sia fonte di tranquillità e, in quanto conosciuto, costituisca lo “sfondo” che meglio permette la comunicazione.
Questa condizione, facilmente realizzabile negli ambienti in cui si fa abilitazione, costituisce una autentica sfida (da cogliere) nell’ambiente scolastico se si cerca, come è auspicabile, di far restare l’allievo con disturbo dello spettro dell’autismo il più possibile in classe.
Eliminare le fonti di distrazione può essere difficilmente raggiungibile in una classe attiva. Risulta allora cruciale creare punti di riferimento stabili e sempre raggiungibili: uno o più contenitori vicino alla cattedra dove prendere o porre i simboli, un luogo riservato dove si trovano le figure critiche ecc..
Fondamentale può essere il ruolo dell’insegnante di sostegno nell’essere non elemento di separazione (segue solo lui o lei il bambino), ma strumento attivo per recuperare sempre i punti di riferimento che rendono l’ambiente familiare e quindi proprio, non sconosciuto. Un vero e proprio mediatore di familiarità. Con il suo esempio può indicare anche agli altri colleghi quali comportamenti hanno un effetto tranquillizzante e quali sono viceversa da evitare in quanto disorientanti.

4. Nei casi in cui il disturbo dello spettro autistico è in comorbilità con un disturbo grave dello sviluppo intellettivo comportante anche (o associato con) grave disturbo del linguaggio può essere molto utile una competenza specifica nelle modalità di comunicazione aumentativa ed alternativa, al fine di ovviare alle carenze linguistiche con comunicazioni che si realizzano con la mediazione di figure (ad esempio la figura di un bicchiere d’acqua per comunicare che si ha sete), simboli (di cibo, ad esempio) o azioni (ad esempio mettere qualcosa in un contenitore per far capire che si è finito un compito o prenderlo per far capire che si vuole iniziarlo e si ha bisogno del materiale).

5. Soprattutto nei casi di cui sopra è importante è la strutturazione delle attività tipiche (ad esempio mettere degli oggetti nei propri contenitori) con comportamenti, figure o simboli che danno i tempi dell’inizio, del lavoro e della fine.
Questo riduce l’imprevedibilità e favorisce il dosaggio delle energie.

6. Nei casi caratterizzati da comorbilità con la disabilità intellettiva è spesso necessario adattare i compiti proposti a tutta la classe alle conoscenze e capacità dell’allievo con disturbo dello spettro dell’autismo. I compiti devono infatti essere semplificati e comunque adattati. Si veda al proposito Insegnamento differenziato e interdisciplinare.

7. Spesso l’insegnante dimostra di approvare un compito ben svolto con il sorriso o altro linguaggio del corpo. Esso viene interpretato dall’allievo grazie al rapporto empatico e all’interpretazione del significato che l’insegnate attribuisce nella propria mente a quel comportamento. Per il bambino con disturbo dello spettro dell’autismo queste modalità di comunicazione possono essere meno efficaci. Può essere necessario essere molto più espliciti nell’esprimere compiacimento. Tanto meglio se si è scelto un compito che permette all’alunno o studente di capire bene se è stato eseguito correttamente.

8. È necessaria esperienza, competenza e sensibilità particolare per dare significato a molti comportamenti che sembrano assurdi e non collegati con il contesto.
Forniamo a questo proposito alcuni esempi, ripresi (molto semplificati) da Cumine, Leach e Stevenson (2000) e la possibile risposta dell’insegnante (di sostegno e non).
-J., di 3 anni, non riuscendo a comunicare, sbatte la testa … al fine di far cessare situazioni per lui fonte di stress.
L’insegnante dovrebbe ovviamente cercare di evitare che il bambino non si faccia male, ma anche cercare di prevenire comprendendo quali sono le fonti di stress. Anche un semplice diario (che potrebbe fare l’insegnante di sostegno) in cui annotare tutti i particolari delle situazioni in cui è avvenuto il comportamento critico può essere utile in modo da trovare cosa accomuna i vari contesti. Ideale è rendere partecipi di quanto scritto i colleghi di classe per chiedere loro cosa ne pensano. Tanto meglio se il diario diventa comune e tutti gli insegnanti possono scrivere e commentare.
-B., di 3 anni, mette in atto comportamenti come far cadere le piante dal davanzale … perché disorientato da troppa luminosità e da colori troppo vivaci nelle stanze dell’Asilo Nido.
Oltre a quanto già scritto sopra è importante tener conto del fatto che una caratteristica tipica dei disturbi dello spettro dell’autismo può essere il sentirsi “bombardati” da eccesso di stimoli. Ne deriva attenzione da parte dell’insegnante ai rumori, a più conversazioni in contemporanea, alle luci, agli spazi ampi ecc.
-I., di 5 anni, vuole scappare dalla scuola … perché non riesce a sostenere le relazioni sociali con i compagni.
Per l’insegnante è fondamentale tener conto che i rapporti sociali sono sempre molto impegnativi per i bambini con disturbo dello spettro dell’autismo. Ne risulta la necessità di porre molta attenzione per cogliere il momento in cui per l’alunno viene superato il limite della tollerabilità. Tanto meglio se con l’esperienza si riesce ad offrire aiuto, rassicurazione, situazioni familiari funzionali ecc. prima che il limite venga raggiunto.

9. Si deve sempre considerare con molta attenzione l’ipotesi che l’allievo con disturbo dello spettro dell’autismo rischi di essere molto disturbato da quello che per lui può essere un “bombardamento sensoriale”, mentre per altri richiede un automatico coordinamento di percezioni legate a sensi diversi.

10. Si deve tenere nella più ampia considerazione la possibilità che il linguaggio verbale sia per la persona con autismo molto impegnativo. Bisogna fare attenzione a non parlargli troppo e/o troppo velocemente.

11. Il comportamento dell’individuo con disturbo dello spettro dell’autismo nelle situazioni sociali e comunicative non deve ingannare e non deve portare a sottovalutare (ma nemmeno sopravvalutare) la presenza di emozioni e sentimenti e l’esigenza di relazioni sociali.

12. Fondamentale è la collaborazione con le famiglie. A volte disponibili, altre volte in difesa. Cruciale è un atteggiamento di accoglienza: devono essere accettati così come sono.

Per i riferimenti bibliografici di queste pagine vedi Riferimenti bibliografici generali

Tratto, con modifiche (Vianello 10.01.2023), da 
Cornoldi, C., e Vianello, R. (2023). Vademecum di Psicologia per insegnanti di sostegno. Firenze: GiuntiEdu.
Vianello, R. (2015). Disabilità intellettive. Con aggiornamenti al DSM-5. Bergamo: edizioni Junior.

Wikipedia
L’inserimento del bambino autistico nell’ambito scolastico

Molti bambini con disturbo autistico hanno una notevole avversione nei confronti della scuola, così come molti insegnanti e genitori di bambini non autistici hanno rilevanti difficoltà ad accettare in classe questi bambini, a motivo dei loro comportamenti eccessivamente disturbanti. Se si vuole inserire in modo fisiologico i bambini con disturbo autistico nell’ambito delle scuole, così da favorire una buona socializzazione e nel contempo riuscire a evitare di creare problemi ai bambini normali e ulteriori traumi a questi bambini, è necessario capire le ragioni della loro avversione nei confronti di questa istituzione.[211] I loro comportamenti oppositivi e disturbanti sono attuati non perché siano “cattivi” o “capricciosi”, come spesso sono definiti, ma per due validi motivi:

  • Questa istituzione accentua molto il loro disagio interiore in quanto i bambini con disturbo autistico sono alla ricerca continua di ambienti tranquilli, stabili e ordinati, che li aiutino a diminuire le loro paure e angosce interiori,[212] mentre la normale vivacità di un ambiente scolastico, nel quale molti bambini si muovono, si agitano e interloquiscono, li impaurisce e disturba notevolmente.
  • Inoltre questi bambini mal sopportano che qualcuno chieda loro di fare o non fare una determinata cosa, per cui non riescono ad accettare le varie indicazioni date dagli insegnanti in quanto avvertono ogni richiesta come una violenza nei loro confronti. Invece vorrebbero effettuare liberamente i giochi che più li aiutano a ritrovare un minimo di serenità interiore.

Per tali motivi è bene sostituire, almeno per un certo periodo, l’ambiente classe, spesso rumoroso e inquieto, con un altro, molto silenzioso e tranquillo ma ricco di moltissimi giocattoli e materiali vari, nel quale sia presente soltanto un buon insegnante, capace di ascolto e comprensione dei loro problemi e bisogni interiori. Sarà quindi preferibile un insegnante che sia disposto a sovvertire le normali regole scolastiche, fino a quando questi bambini non avranno acquisito piena serenità interiore e buona fiducia negli altri. Infatti i bambini con disturbo autistico hanno la necessità di rapportarsi con un insegnante che riesca a evitare di chiedere loro cosa devono o non devono fare, ma sappia essere di aiuto, sostegno e incoraggiamento alle attività e giochi da loro liberamente scelti. Quest’insegnante deve quindi ben conoscere e attuare nei loro confronti il gioco libero autogestito, in quanto solo le attività e i giochi da loro scelti hanno il potere di diminuire il grave malessere interiore del quale soffrono questi bambini, nel mentre permette loro di acquisire sentimenti di maggiore sicurezza, serenità e fiducia negli altri e nel mondo. Solo in una fase successiva, con molta gradualità, l’insegnante potrà avvicinare i bambini con problemi di autismo ad altri adulti e coetanei, con i quali pensa possa stabilirsi una fruttuosa intesa reciproca, così come solo in un secondo momento potrà proporre delle attività didattiche se queste sono ben accettate da questi particolari allievi.

Da DI
Educazione e trattamento
Può essere opportuno iniziare con una citazione.
“Anzitutto un bambino autistico ha bisogno di amore, proprio come chiunque altro. […] Sarebbe desiderabile che fosse fornito un ambiente strutturato, senza badare all’età e al livello intellettivo. […] Un approccio all’insegnamento che sia fermo, tranquillo e rassicu- rante va bene per i bambini autistici nello stesso modo in cui è raccomandabile per qualsia- si altro bambino. Gli insegnanti dotati sono un lusso raro, ma se persone del genere si pren- dono cura di un bambino autistico l’effetto può essere eccellente. Possono essere insegnate molte cose, nei limiti delle capacità del bambino: il linguaggio, il comportamento sociale, le abilità scolastiche, conoscenze sul mondo, le tecniche artistiche, la cura della casa e della salute e specifiche abilità lavorative.
Nella mia personale esperienza sono stata colpita dalla capacità e dalla devozione di molti genitori, insegnanti e terapisti che hanno ottenuto risultati pur senza credere nei miracoli. Posso anche comprendere come dei genitori disperati siano stati catturati da “campagne” pubblicitarie che costituiscono solo un danno per la riabilitazione. Va ricordato che que- sto, dopotutto, è un affare di miliardi.

Ci vuole ancora molto perché si arrivi a formulare raccomandazioni precise basate su una solida base scientifica. Non possiamo attendere una pillola magica o una scorciatoia segre- ta verso la normalità. È invece ancora una buona idea quella di proseguire con i migliori metodi disponibili di educazione e cura. È altresì necessario considerare criticamente quei trattamenti che si basano su fondamenti cosiddetti scientifici, ma non dimostrati e che fanno un gran danno senza aiutare affatto il bambino. Quando l’efficacia e il successo sono garantiti da persone di successo, allora è chiaro che mancano le prove scientifiche! […] Questo deficit è di natura più simile alla cecità o alla sordità che, diciamo, alla timidezza. Immaginate di crescere un bambino cieco senza che vi rendiate conto che è cieco. È faci- le che ci si spazientisca con un bambino che urta continuamente le cose! Un bambino non apprende bene da un insegnante impaziente o nervoso. Quindi è importante per tutti gli insegnanti, i terapisti, i genitori e gli amici avere una qualche conoscenza della natura del deficit.” (1989; pp. 226-227)

Molteplici sono gli approcci abilitativi ed educativi. Il più famoso è il metodo TEAC- CH (Treatment and Education of Autistic and related Communication handicapped Chil- dren), utilizzato da più di 40 anni, nato in Carolina del Nord e diretto da Eric Schopler.19 Invece di fornire un elenco di metodi di intervento20, mi sembra opportuno proporre
alcune riflessioni di base.

  1. Ogni intervento richiede innanzitutto il coordinamento di tre diversi tipi di conoscen- ze: lo sviluppo normale, quello degli individui con ritardo mentale (per la grande mag- gioranza dei casi) e quello che caratterizza i disturbi pervasivi dello sviluppo (funziona- mento cognitivo, socializzazione, comunicazione, interessi). Non si può essere esperti di disturbo autistico, senza conoscere molto bene lo sviluppo tipico e quello in caso di ritardo mentale.
  2. Poiché è fondamentale un programma mirato che veda il coinvolgimento di familiari, insegnanti e operatori sociosanitari, è necessario un operatore che si assuma la respon- sabilità di seguire il caso per favorire la definizione del programma, il suo monitorag- gio e il coinvolgimento di tutti.
  3. È utile un ambiente strutturato e familiare, che non solo sia fonte di tranquillità, ma che in quanto conosciuto costituisca lo “sfondo” che meglio permette la comunicazio- ne. Questa condizione, facilmente realizzabile negli ambienti in cui si fa abilitazione, costituisce una autentica sfida (da cogliere) nell’ambiente scolastico se si cerca, come è auspicabile, di far restare l’allievo con disturbo pervasivo dello sviluppo il più possi- bile in classe. L’obiettivo di eliminare le fonti di distrazione può essere irraggiungibile in una classe attiva. Risulta allora cruciale creare punti di riferimento stabili e sempre raggiungibili: uno o più contenitori dove prendere o porre i simboli, un luogo riserva- to dove si trovano le figure critiche. Cruciale può essere il ruolo dell’insegnante di sostegno nel suo essere non elemento di separazione (segue solo/a il bambino), ma stru- mento attivo per recuperare i punti di riferimento che rendono l’ambiente familiare e quindi proprio, non sconosciuto.
  4. Rispetto a molte situazioni di ritardo mentale (almeno quelle non gravi) è necessaria una competenza specifica nelle modalità di comunicazione aumentativa e alternativa, al fine di ovviare alle (spesso gravi) carenze linguistiche con comunicazioni che si rea- lizzano con la mediazione di figure (ad esempio la figura di un bicchiere d’acqua per comunicare che si ha sete), simboli (di cibo, ad esempio) o azioni (ad esempio mette- re un gettone in un contenitore per far capire che si è finito un compito o prenderlo per far capire che lo si vuol iniziare e si ha bisogno del materiale).
  5. Importante è anche la strutturazione delle attività tipiche (ad esempio mettere degli oggetti nei propri contenitori) con comportamenti, figure o simboli che danno i tempi dell’inizio, del lavoro e della fine. Questo riduce l’imprevedibilità e scandisce il dosag- gio delle energie.
  6. È necessaria esperienza, competenza e sensibilità particolare per dare significato a molti comportamenti che sembrano assurdi e non collegati con il contesto.
    Sono opportuni alcuni esempi, ripresi (molto semplificati) da Cumine, Leach e Ste- venson (2000).
    Justin, di 3 anni, non riuscendo a comunicare, sbatteva la testa al fine di far cessare situazioni per lui fonte di stress.
    Bashar, di 3 anni, metteva in atto comportamenti come far cadere le piante dal davan- zale perché disorientato da troppa luminosità e da colori troppo vivaci nelle stanze del- l’asilo nido.
    Joshua, di 5 anni, voleva scappare dalla scuola perché non riusciva a sostenere le rela- zioni sociali con i compagni.
  7. Si deve considerare con attenzione l’ipotesi che l’allievo con disturbo autistico rischi di essere disturbato da quello che per lui può essere un “bombardamento sensoriale”, men- tre per altri richiede un semplice coordinamento di percezioni legate a sensi diversi.
  8. Si deve tenere nella più ampia considerazione la possibilità che il linguaggio verbale sia per la persona con autismo molto impegnativo. Ad esempio bisogna fare attenzio- ne a non parlargli troppo e/o troppo velocemente.
  9. Come emerso nei paragrafi precedenti il comportamento dell’individuo con autismo non deve ingannare e non deve portare a sottovalutare (ma nemmeno sopravvaluta- re) la presenza di emozioni e sentimenti per molti aspetti paragonabili ai nostri.
  10. Fondamentale è il counselling alle famiglie: mirato e continuo. Mi sembra opportuno sottolinearlo, perché mi pare che nella prassi italiana, rispetto all’intervento diretto con il bambino o il ragazzo, esso sia molto sacrificato.21
1. Presente anche in Vianello, 2008.
2. Per approfondimenti si può iniziare, in lingua italiana, con Schopler, E., Mesibov, G. B. (1995), Maurice, 1996; Cumine, Leach, Stevenson, 2000.
3. In Cumine, Leach e Stevenson (2000) oltre al metodo TEACCH, ne sono descritti altri 12, basati ad esem- pio sull’interazione intensiva, sulla musica, sull’uso di figure per comunicare, sulle metodiche comportamenta- li, sul coinvolgimento soprattutto dei genitori, sul lavoro di gruppo, sul training di integrazione uditiva, su par- ticolari diete, farmaci e lenti colorate.
4. Ho cercato di considerare in questo elenco solo punti critici e specifici. Ho evitato, credo opportunamente, molte altre riflessioni, valide per ogni intervento educativo o abilitativo (ad esempio considerare l’importanza dell’autostima, proporre compiti adeguati alle possibilità, quando utilizzare opportune tecniche di rinforzo) o per il ritardo mentale in generale (considerare che l’area di apprendimento potenziale è minore che nei normodotati.)