Una diagnosi di sordità del figlio ha ripercussioni spesso molto intense nei genitori (Gregory, 1995) e negli altri familiari, soprattutto se essi (come avviene nel 90% circa dei casi; Vaccari e Marschark, 1997a, 1997b; Wright, 2008) sono udenti.
Hintermair (2006) ha condotto una ricerca, usando vari questionari, con 213 madri e 213 padri con figli aventi disabilità uditive al fine di stabilire le correlazioni tra le risorse genitoriali, le variabili sociodemografiche, il livello di stress dei genitori ed eventuali problemi socioemotivi dei figli. Il dato più significativo è che lo stress genitoriale è associato con la presenza di frequenti problemi socioemotivi nei figli. Questo evidenzia l’importanza di una azione a sostegno dei genitori. Chi usufruisce di counselling ha un livello di stress più basso.

I genitori sono chiamati a varie scelte. Ad esempio relativamente ad un possibile impianto cocleare o al fatto di privilegiare il linguaggio gestuale o quello verbale o una combinazione. Letteratura ed esperienza ci dicono che spesso i genitori non sono aiutati ad effettuare una scelta responsabile, ma queste scelte sono “imposte loro come ovvie” dagli esperti o dai responsabili delle associazioni a cui si rivolgono.
Scrivono Herer et al. (2002)

“Le opinioni professionali sul difetto uditivo spesso condizionano le informazioni, le opinioni di trattamento e le raccomandazioni comunicate ai genitori (Densham, 1995). … Una accesa controversia è esistita fin dalla metà del 1800 concernente l’approccio da raccomandarsi riguardo alle modalità di comunicazione e di educazione per i bambini sordi. Continua ancora a persistere un acceso dibattito tra i fautori dell’oralismo, che sostengono lo sviluppo della capacità di eloquio e di lettura labiale e dell’uso delle capacità uditive residuali, e i sostenitori dell’uso di forme accessibili visivamente, comprendenti l’uso del linguaggio costituito da segni manuali e dalla comunicazione ‘totale’ (con uso sia del linguaggio dei segni che dell’eloquio). I proponenti dell’approccio audio/orale sostengono che l’uso del linguaggio dei segni è scoraggiante per il bambino e gli impedisce di rendersi conto che esiste un ‘mondo dei suoni’. I sostenitori della comunicazione ‘manuale’ sostengono che essa fornisce al bambino un mezzo di comunicazione, che ne favorirà l’accesso al linguaggio dei significati. I sostenitori della comunicazione ‘totale’ sostengono la combinazione di entrambi i metodi.
… Alcuni tuttavia ritengono che nell’insegnamento della ‘comunicazione totale’ predomini in genere il linguaggio di segni; e che sia difficile per un bambino con difetto uditivo profondo, imparare contemporaneamente diversi sistemi di linguaggio.
I genitori sovente si imbattono in accesi sostenitori dell’una o dell’altra di queste posizioni, e sono quindi polarizzati sulla scelta di una di queste opzioni. Spesso tuttavia, alla forza con cui vengono sostenute queste opinioni, non corrispondono adeguati dati scientifici, e i genitori possono non essere posti in condizioni di operare scelte razionali (Rushmer, 1994).”
(Herer et al., 2002, pag. 214 della traduzione italiana)

Decker, Valloton e Johnson (2012) sulla base di una ricerca condotta con la partecipazione dei genitori (33 madri e 2 padri, caucasici) di 35 bambini o bambine (16 maschi e 19 femmine) con disabilità uditive di età inferiore ai 7 anni confermano quanto sopra: i genitori ricevono dai professionisti quasi esclusivamente informazioni su una sola possibilità d’azione e di conseguenza interiorizzano le opinioni dei professionisti, senza avere la possibilità (per carenza di informazioni complete) di una scelta autonoma.
In questo caso specifico 3 bambini (9%) erano stati educati con il solo linguaggio dei segni, 20 (57%) con il linguaggio verbale e 12 (34%) sia con il linguaggio verbale che con il linguaggio dei segni.

I genitori di bambini con disabilità uditive necessiterebbero di un counselling sistematico, che non dovrebbe limitarsi a consigliare loro ciò di cui ha bisogno il figlio, ma che fosse per loro soprattutto una opportunità di confronto sul progetto educativo riguardante il/la loro figlio/a e che li aiutasse a meglio gestire la sofferenza che inevitabilmente è presente (soprattutto nei primi anni di vita del/la figlio/a).

Per i riferimenti bibliografici di queste pagine vedi Riferimenti bibliografici generali

Ripreso, con modifiche (01.01.2023), da Vianello, R., e Mammarella I. C. (2014). Psicologia delle disabilità. Bergamo: edizioni Junior.
Cornoldi, C., e Vianello, R. (2023). Vademecum di Psicologia per insegnanti di sostegno. Firenze: GiuntiEdu.

Renzo Vianello, 01.01.2023