Per decenni è stato molto vivo il dibattito fra “oralismo puro” e “gestualismo + oralismo”. Spesso esso sembra basato più su posizioni aprioristiche che sui risultati della ricerca scientifica (Zanobini e Usai, 2011). 
Attualmente in Italia sono molto rare le proposte basate sul solo linguaggio dei segni. 
Diffusa è la convinzione che sia utile proporre sia la lingua dei segni che quella verbale. Nei casi di sordità profonda la lingua dei segni viene appresa più facilmente di quella verbale. Ne deriva che l’apprendimento della lingua verbale tende a strutturarsi in coerenza con quella gestuale (in particolare se uno o entrambi i genitori sono sordi). La lingua verbale, soprattutto se proposta successivamente, può quindi configurarsi come una seconda lingua. 
Il linguaggio verbale è necessario per comunicare con chi non conosce il linguaggio dei segni (bambini e adulti). 
Questa posizione fu espressa in modo molto forte in Italia negli anni attorno al 1977 (anno della legge 517 sull’integrazione scolastica). 

Il bambino sordo esposto al linguaggio dei segni raggiungerà una competenza nel linguaggio vocale migliore del bambino sordo esposto solo al linguaggio parlato.” (Volterra, 1981, pag. 10) 

Siamo pienamente convinti che chi è privo di udito fin dalla nascita o dai primi anni di vita, e non ha la possibilità di acquisire il linguaggio vocale secondo le modalità e i tempi degli udenti, debba ugualmente apprendere ad esprimersi, a comunicare attraverso la parola. Il linguaggio vocale infatti, a prescindere da qualsiasi altra motivazione, è oggi strumento necessario, almeno in Italia, per inserirsi nella comunità scolastica e lavorativa degli udenti in cui la parola è norma comunicazionale. In tale ottica la competenza linguistica vocale costituisce il requisito indispensabile nella lotta contro l’emarginazione.” (Volterra, 1981, pag. 68)

Già allora erano comunque molti i sostenitori di una educazione basata sul linguaggio verbale. Questo comporta: diagnosi nei primi mesi di vita, precoce protesizzazione, precoci interventi abilitativi, coinvolgimento dei familiari.

Una diagnosi precoce sarebbe necessaria anche per applicare l’apparecchio acustico prima dei 6 mesi di vita e ridurre quindi il periodo di deprivazione dei suoni, tra cui quelli linguistici. Per applicare l’impianto cocleare è necessaria assoluta sicurezza sulla diagnosi (almeno dopo i 12 mesi e dopo un periodo di uso delle protesi). Poiché l’apparecchio acustico o l’impianto non ripristinano totalmente il funzionamento del sistema uditivo gli interventi logopedici sono comunque necessari. 

In Italia esiste una lunga tradizione al proposito, come è testimoniato da quanto segue. 

La rieducazione (fin dai primi mesi di vita) deve avere numerosi scopi, ma particolarmente educare l’ambiente familiare, stimolare la funzione uditiva, maturare la comprensione del linguaggio parlato, far acquisire il ritmo della parola e del linguaggio ed infine stimolare ed arricchire il vocabolario e l’espressione in generale. 

A tal fine l’ortofonista spiega alla madre e possibilmente anche al padre e, se consentito, ad un terzo parente, l’iter rieducativo a grandi linee, l’importanza della stimolazione acustica e verbale e raccomanda loro particolarmente di:

  • parlare tutto il giorno al bambino, portando la culla nelle varie stanze quando la madre o chi per essa si sposta, parlandogli di tutte le azioni ch la mamma compie;
  • prenderlo in braccio, stringerlo al petto, parlargli, cantare nenie e ninne nanne;
  • fare ascoltare musica e suoni di ogni genere, nominare spesso il papà e gli altri componenti della famiglia;
  • presentare gli oggetti corrispondenti ai suoni onomatopeici. Al riguardo la madre dovrà ripetere più volte: mao, qua qua, bubù ecc. finché il bambino tenterà di ripeterli. 

Durante il primo periodo la madre deve preoccuparsi principalmente di fargli comprendere che ogni parola e suono corrispondono ad un oggetto, ad una situazione, ad uno stato d’animo e cercare di trasmettergli il desiderio di comunicare verbalmente … Generalmente, dopo tre mesi d’applicazione della protesi acustica, il bambino comincia ad emettere suoni vocalici e consonantici fino a raggiungere una lallazione assai simile a quella dell’udente … col passare del tempo il bambino ripete e denomina spontaneamente i suoni onomatopeici ed inizia a dire le parole che sente più frequentemente … 
L’ortofonista, appena si rende conto che il bambino pronuncia alcuni fonemi, fa acquistare oggetti e figure che contengono detti suoni e, giocando, abitua il bambino a riconoscerli e denominarli; indi fa l’esercizio di denominazione schermandosi il viso, in modo che il bambino ‘senta, comprenda e ripeta’ detti nomi, senza l’ausilio della lettura labiale …” (Cippone De Filippis e Del Bo. pag. 196)

L’intervento abilitativo con i bambini con disabilità uditive è impegnativo e dovrebbe comprendere anche: counselling alle famiglie, consulenza agli insegnanti, sostegno al bambino nelle attività scolastiche e in quelle extrascolastiche. 
Le Associazioni di genitori di bambini sordi possono svolgere un ruolo molto importante. Spesso esse sono di stimolo affinché la società risponda in modo adeguato ai bisogni delle persone con sordità e non raramente, attraverso apposite convenzioni con le istituzioni sanitarie, provvedono direttamente anche ad alcuni interventi abilitativi.

Per i riferimenti bibliografici di queste pagine vedi Riferimenti bibliografici generali

Ripreso, con modifiche e integrazioni, da Vianello, R., e Mammarella I. C. (2014). Psicologia delle disabilità. Bergamo: edizioni Junior.

Renzo Vianello, 01.01.2023