I deficit uditivi

Di vario tipo sono i deficit (o difetti) uditivi a seconda delle componenti periferiche o centrali che non funzionano bene. 

  • Deficit uditivo conduttivo (o trasmissivo): quando sono compromessi l’orecchio esterno o quello medio. 
  • Deficit uditivo percettivo: la menomazione riguarda la coclea o il nervo uditivo.
  • Deficit uditivi misti (conduttivi e percettivi).

Il deficit uditivo può essere unilaterale o bilaterale, cioè riguardare un solo orecchio o entrambi.
Un deficit uditivo viene classificato con modalità diverse a seconda delle varie nazioni. 
In Italia, secondo Zanobini e Usai (2011, pag. 37), abbiamo:

  • leggero (perdita  tra 20 e 40 dB)
  • medio (perdita  tra 40 e 70 dB)
  • grave (perdita  tra 70 e 90 dB)
  • profondo (perdita  oltre i 90 dB).

Tre esempi.

  • Lieve: difficoltà a percepire anche la voce umana, quando di bassa intensità (sottovoce).
  • Medio: comprende poco in una normale conversazione; fatica a capire consonanti sorde come /t/, /k/, /p/.
  • Profondo: non c’è percezione anche di suoni intensi come motore di un’auto, sega elettrica ecc. Anche con protesi la comprensione del linguaggio parlato può risultare impegnativa.

Sordo e non sordomuto

Con la legge 95 del 2006, in Italia il termine sordo sostituisce il termine sordomuto. Molto opportunamente (e decisamente in ritardo), dato che la sordità non comporta necessariamente anche l’assenza di linguaggio. In questo capitolo useremo spesso anche “disabilità uditive”, in coerenza con le indicazioni della Organizzazione Mondiale della Sanita (WHO, 2001, 2007) che invitano ad usare il termine disabilità come termine “ombrello”.

La terminologia più frequente in inglese é: deaf, deafness, profound deafness (dai primi studi, ad esempio nel 1917, ed ancora attuale), hearing impaired children (soprattutto dopo il 1980 con la distinzione dell’OMS fra impairment, disability e handicap), hard of hearing (poco usato, recente, ad esempio Hintermair, 2006, come equivalente dell’italiano ipoacusico), hearing loss (da almeno 20 anni e attuale).

Incidenza e prevalenza

In letteratura si trovano dati fra loro molto discordanti sull’incidenza e la prevalenza dei deficit uditivi . Ne riportiamo alcuni (quando possibile ordinati per anno di pubblicazione).

Deficit uditivi in generale:

  • 3-4% dei bambini secondo Schindler (1987);
  • 1,3% in bambini e adolescenti con meno di 18 anni  secondo Adams, Hendershot e Marano (1999);
  • 0,22% alla nascita secondo Herer, et al. (2002);
  • tra 0,14% e 0,31% secondo dati riportati da Herer, et al. (2002);
  • 10-15% dei bambini (tra cui molti con difetto transitorio) secondo Herer, et al. (2002);

Deficit uditivi di tipo trasmissivo:

  • 3-4% dei bambini secondo Schindler (1987);
  • 1,3% in bambini e adolescenti con meno di 18 anni (Adams, Hendershot & Marano, 1999);
  • 0,046% alla nascita, con difetto bilaterale e 0,026% alla nascita con difetto unilaterale (quindi in totale  0,072%) secondo Herer, et al (2002);
  • 10-15% dei bambini (tra cui molti con difetto transitorio) secondo Herer et al. (2002);

Deficit uditivi di tipo percettivo:

  • 0,05% dei bambini secondo Schindler(1987);
  • 0,097% alla nascita, con difetto bilaterale e 0,046% alla nascita con difetto unilaterale (quindi in totale  0,134%) secondo Herer, et al. (2002);

Deficit uditivi profondi o severi:

  • 0,1% alla nascita e 0,2% in età evolutiva (considerando anche le sordità acquisite dopo la nascita) secondo Kvarner e Arnensen (1994);
  • 0,11% alla nascita secondo Wright (2008). 

In sintesi questi dati suggeriscono che:

  • un bambino su 7-10 può essere interessato da difficoltà uditive, spesso temporanee; si tratta di un dato variabile a seconda delle condizioni ambientali (otiti, tappi di cerume ecc.).
  • un bambino su 100 circa ha difficoltà di udito non transitorie;
  • due bambini su 1.000 hanno deficit uditivi gravi;
  • circa la metà dei deficit uditivi gravi sono presenti fin dalla nascita;
  • i deficit uditivi presenti alla nascita sono in maggioranza bilaterali;
  • i deficit uditivi di tipo trasmissivo sono molti di più di quelli di tipo percettivo.

Consideriamo ora alcuni dati del MIUR sull’inserimento degli alunni con disabilità. Da essi risulta che gli alunni con disabilità uditive erano:

  • il 2,9% rispetto a tutti gli alunni con disabilità;
  • lo 0,7 per mille rispetto a tutti gli alunni;
  • senza particolari differenze a seconda dell’età: da 0,7 a 0,8 per mille.

Si tratta di dati complessivamente stabili negli ultimi venti anni (per un confronto con il passato vedi Vianello, 1999).

Il fatto che meno di un allievo su mille sia considerato come allievo con disabilità uditiva non è del tutto coerente con i dati riportati in letteratura. Quei dati prevedevano almeno due allievi con disabilità uditive ogni mille. Non ci sembra verosimile pensare che un alunno su due non venga individuato/certificato ai fini scolastici pur avendo una disabilità uditiva. Ci sembra più saggio pensare che nella realtà italiana le disabilità uditive siano meno dell’1 per mille, anche se non possiamo scartare l’ipotesi che in Italia si utilizzino, di fatto, criteri di gravità più severi. 

Non dobbiamo dimenticare che sulla disabilità uditiva influiscono anche cause ambientali (dal livello prenatale a quello postnatale), che come tali sono diverse da nazione a nazione. 

Le cause

Almeno il 50% dei difetti uditivi (stimati in un individuo ogni 2.000) è di origine genetica, in grande maggioranza non legati ad una sindrome (quindi la sordità è l’unica disabilità) e dovuti ad eredità autosomica recessiva (Cohn, Kelley, Fowler et al, 1999). Altre cause genetiche di sordità sono legate ad una sindrome (tra cui la sindrome di Down, le trisomie 13 e 18, la palatoschisi). 

Altre cause sono congenite (presenti fin dalla nascita, ma non ereditarie): dovute ad esempio a rosolia, (30% di rischio se contratta entro il primo trimestre di gravidanza), citomegalovirus, altre infezioni prenatali, prematurità (2-5%), antibiotici o altre sostanze farmacologiche assunte dalla madre (Herer et al., 2002).

Tra le cause perinatali c’è l’anossia.

Tra le cause postnatali ci sono traumi fisici, antibiotici o altre sostanze, meningiti batteriche, parotite, morbillo, varicella. 

Alcune ipoacusie, spesso lievi, sono dovute ad una infiammazione cronica dell’orecchio medio (otite media acuta).

È opportuno ricordare che tra i traumi ci sono anche: colpi di vento; rumori traumatici (petardi, fuochi d’artificio, armi ad aria compressa) esposizione prolungata a suoni molto intensi (sopra i 100-110 dB, come può avvenire per alcuni spettatori in certi concerti rock).

Non raramente la disabilità uditiva è in comorbilità con altre disabilità. Arfé (2011) sintetizza i dati della letteratura affermando che circa il 30% dei bambini con ipoacusia presenta una difficoltà aggiuntiva a quella uditiva, associata a gravi problemi di apprendimento.  

La diagnosi

Soprattutto nel passato erano possibili significativi ritardi nella diagnosi di sordità, anche se congenita (soprattutto se non in comorbilità con altre disabilità). Molti bambini erano diagnosticati nel secondo o terzo anno di vita (Vaccari e Marschark, 1997a) e in alcuni casi di sordità lieve anche più tardi.

Da un punto di vista clinico i primi segnali di possibile sordità possono essere colti nel periodo della lallazione (in alcuni casi anche prima, ad esempio notando che il bambino sistematicamente non si sveglia quando c’è un rumore forte), dato che i bambini sordi hanno una lallazione meno ricca (ad esempio nelle consonanti) e meno simile al linguaggio dei loro genitori. Soprattutto il linguaggio ricettivo dovrebbe creare sospetti di sordità: mancato o scarso orientamento del capo e del corpo alla voce dei genitori (fin dai 3-5 mesi); eccesso di attenzione ai gesti e alla bocca dei genitori quando parlano (dai 10-12 mesi). Se la sordità non è totale la valutazione diagnostica clinica è più difficile.   

Poiché alcuni fattori di rischio sono noti, sarebbe opportuno uno screening mirato. Ci riferiamo in particolare a bambini nati prematuramente, o con sindromi causa anche di sordità, o con familiari sordi, o con eventi prenatali (ad esempio la rosolia della madre in gravidanza) o perinatali (ad es. anossia) o postnatali (ad es. traumi o infezioni).