Disturbo oppositivo provocatorio

Il Disturbo Oppositivo Provocatorio è caratterizzato da irritabilità e da comportamenti polemici, sfidanti e vendicativi (per almeno 6 mesi e in maniera significativa).

Nell’ ICD-10 è codificato con F91.3 e considerato come un sottotipo dei disturbi della condotta (o disturbo del comportamento sociale). Nel DSM-5 è presentato da pag. 540 (riportato anche il codice F91.3).

A titolo esemplificativo ecco alcune manifestazioni tipiche:

  • si arrabbia spesso;
  • spesso è risentito;
  • litiga anche con gli adulti;
  • accusa gli altri per errori suoi;
  • è vendicativo (ad esempio si sono verificati almeno due episodi seri negli ultimi sei mesi).

È opportuno considerare la presenza di questi sintomi al di fuori dei rapporti con eventuali fratelli. Di norma questi comportamenti sono particolarmente presenti con insegnanti e genitori.

La prevalenza è molto variabile a seconda delle ricerche. A titolo orientativo si può pensare ad un 3% circa (comunque da verificare e da distinguere a seconda delle caratteristiche dei gruppi considerati). È maggiormente presente nelle famiglie di status socio-economico basso. Interessa di più i maschi (ma poco studiate sono state le modalità con cui può manifestarsi nelle femmine).

La diagnosi di Disturbo Oppositivo provocatorio considera la presenza di notevole irritabilità, comportamenti sfidanti e vendicativi presenti in maniera significativa per almeno 6 mesi.
Questi comportamenti sono valutati come rilevanti se hanno un effetto negativo nel contesto sociale.
Nella diagnosi il disturbo può essere indicato come lieve, moderato o grave.
La gravità dipende anche dal fatto che i comportamenti si verifichino in uno o più ambienti (scuola, casa, extrascuola).
Se il bambino ha meno di 5 anni i comportamenti sono ritenuti tali da diagnosticare un disturbo se sono quotidiani.
Dopo i 5 anni se avvengono almeno una volta alla settimana per almeno sei mesi.
La differenza fondamentale con il Disturbo della condotta è nell’assenza di (o scarsa presenza) comportamenti aggressivi verso persone o animali, di atti vandalici verso proprietà, di furti o inganni.

Le cause dei comportamenti inadeguati sono spesso molteplici. Non possono essere esclusi aspetti neurobiologici e temperamentali (ma nemmeno ritenuti sempre presenti).
Documentata è l’influenza ambientale,  ad esempio dovuta a famiglie problematiche (alcol, droga, disturbi psichici ecc.) e a problemi economici.
Non dobbiamo tuttavia pensare che ogni volta che c’è un bambino con disturbi oppositivi e provocatori c’è sempre una responsabilità educativa.

Gli interventi possibili sono vari. Riportiamo una sintesi presa, con modifiche, da Vianello e Mammarella e da Cornoldi e Vianello. Essa è, con alcune modifiche,  presente anche nel file dedicato al Disturbo della condotta.
L’intervento dovrebbe essere il più possibile coordinato fra operatori, familiari e insegnanti. Documentata è l’efficacia degli interventi cognitivo-comportamentali da parte di familiari (che hanno partecipato a un percorso di parent training) e operatori.
Utili sono risultati anche interventi in piccolo gruppo su temi e modalità di gestione del gruppo che favoriscano collaborazioni, mediazioni, confronti adeguati ecc.

  • Interessanti suggerimenti su come comportarsi con i bambini e gli adolescenti con disturbi del comportamento ci provengono dalle ricerche condotte in ambito evolutivo su “Stili educativi e sviluppo morale” (Vianello, Gini e Lanfranchi, 2019). In quel contesto sono considerati quattro diversi stili educativi: basato sul potere fisico, sulla sottrazione d’affetto, sul ragionamento e sull’empatia. I risultati sono chiari: i migliori risultati educativi si hanno con gli stili denominati induttivi (rispetto a quelli basati sulla coercizione, sul potere fisico e sulla punizione, concreta o per minaccia di “non voler più bene”) e cioè consistenti in uso del ragionamento e dell’empatia.
  • L’uso di ragionamento e di potenziamento dell’empatia si sostengono a vicenda, ma soprattutto a partire dai 5-6 anni. Con i bambini di età inferiore più produttivo sembra ricorrere quasi esclusivamente all’empatia. Questo stile ha al centro la considerazione degli effetti che il proprio comportamento ha sulle altre persone e si realizza aiutando il bambino a decentrarsi, cioè a porsi al posto del compagno o dell’adulto o anche degli animali. Un esempio al riguardo è il seguente: se tu sbatti per terra il giocattolo di Maria, si rompe e  lei piange (piccola pausa),  le dispiace tanto, poverina (pausa più lunga). Anche tu piangi se ti rompono il giocattolo che ti piace di più.
  • Con il passare degli anni e con capacità verbali e di ragionamento più evolute i ragionamenti “persuasivi” dell’adulto possono avere un maggior effetto. Si può cercare di fare appello all’autostima e al piacere di constatare che si è stati capaci di autocontrollo.
  • Il bambino o ragazzo che non sa autocontrollarsi di norma ne è consapevole e lo evidenzia quando dice ad un adulto di cui si fida “Non sono proprio capace di fermarmi… è più forte di me”.  Quello è il momento per concordare una alleanza, dicendogli, più o meno: “Io volentieri ti aiuto. Come potremmo fare? Troviamo assieme delle strategie?” “Ci diamo delle tappe. Un po’ alla volta.”
  • Esperienza ci suggerisce che ci sono effetti positivi quando si è instaurato un buon rapporto affettivo tra allievo e adulto. Di stima, di fiducia. Questo è una specie di obiettivo primario, di requisito.
  • L’influenza dei compagni di classe è spesso maggiore di quella dell’adulto nel far progredire nei giudizi morali e nei comportamenti sociali. Con i compagni è più facile il confronto che favorisce conflitti interiorizzati che portano al progresso. La partecipazione ad attività strutturate di coppia (peer tutoring) o di piccolo gruppo (apprendimento cooperativo) può aiutare questi bambini a imparare a stare con gli altri e a farsi accettare e fare in modo che gli altri bambini si abituino a stare con questi compagni ‘difficili’. Bisogna fare però attenzione in modo che tali situazioni siano ben calibrate e monitorate, perché altrimenti potrebbero trasformarsi in un boomerang, enfatizzando le difficoltà iniziali.
  • A tal fine potrebbero essere molto utili lavori a piccoli gruppi (5-6 di 4-5 allievi ciascuno) su temi sociali e comportamentali. Ad esempio basati su una storia (famose sono quelle elaborate da Kohlberg per i suoi studi sullo sviluppo morale) su cui i bambini devono esprimere le proprie opinioni. Di attualità potrebbero essere situazioni sull’immigrazione o sulle bande giovanili (anche partendo da fatti realmente accaduti e di cui ha parlato la stampa). Ciò che conta non è pervenire ad una soluzione “giusta”, “corretta”, ma sollecitare confronti di opinioni in modo che ciascuno, decentrandosi nel considerare le opinioni altrui, possa progredire nel proprio ragionamento morale o sociale e nella propria disponibilità empatica. E questo non fa bene solo all’allievo con disturbi del comportamento.
  • Nell’adolescenza, in particolare, l’insegnante può svolgere un ruolo cruciale. È l’età in cui ragazze e ragazzi sono alla ricerca di modelli di vita extrafamiliari, da emulare, con cui identificarsi. Anche l’insegnante può essere un modello di vita. Tutto questo è facilitato se l’allievo si sente accettato, nonostante i suoi limiti comportamentali, di cui, in qualche modo, è molto spesso consapevole.
  • Cruciale è riconoscere che ci vuole molto tempo per migliorare, ma che, un passo alla volta, proiettati sul futuro, visti i progressi compiuti, è possibile farcela.  Certo, durante il cammino possono esserci delle cadute. Esse possono essere accettate se meno frequenti o meno intense che nel passato. Un atteggiamento rigido produce oppositività.
  • Alunni e studenti con disturbi del comportamento hanno bisogno di alleati che camminino assieme a loro. E la strada è accidentata e lunga. Un po’ alla volta.

Renzo Vianello, 21.01.2023

Alcune parti sono tratte, con modifiche , da
Cornoldi, C., e Vianello, R. (2023). Vademecum di Psicologia per insegnanti di sostegno. Firenze: GiuntiEdu.
Vianello, R., e Mammarella I. C. (2014). Psicologia delle disabilità. Bergamo: edizioni Junior.