Il Disturbo esplosivo intermittente  (in inglese Intermittent explosive disorder) è caratterizzato da episodi aggressivi ricorrenti a causa di incapacità di controllo in risposta ad un comportamento vissuto come provocatorio, stressante.
L’aggressione può essere verbale o fisica contro persone, proprietà o animali.
Nell’ICD-10 è codificato con F63.81 (in Disturbi delle abitudini e degli impulsi, F63, a sua volta in Disturbi della personalità e del comportamento nell’adulto, F60-F69).
Nel DSM-5 è presentato da pag. 545 (riportato anche il codice F 63.81).

La prevalenza negli Stati Uniti è stata stimata tra il 2 e il 3%. Essa è maggiore in chi ha meno di 40 anni e una scolarizzazione minore. Alcuni studi hanno trovato che questo disturbo è più frequente nei maschi, mentre altri non hanno trovato differenze.

Diagnosi. Il DSM-5 propone di distinguere due diverse situazioni.

  1. Episodi meno gravi di attacchi verbali o fisici senza ferite, danni o distruzioni. In questo caso si ha un disturbo se le aggressioni sono frequenti (ad esempio due volte alla settimana per almeno tre mesi)
  2. Episodi più gravi con aggressione fisica e/o danni a proprietà. Si ha disturbo se le aggressioni impulsive, pur essendo meno frequenti (ad esempio tre in un anno) comportano danni o distruzioni di proprietà o lesioni a persone o animali.

Ai fini della diagnosi di Disturbo impulsivo intermittente vengono considerate le aggressioni:

  • spropositate rispetto alla causa scatenante;
  • impulsive, prodotte dalla rabbia e non premeditate per raggiungere un qualche scopo (ad esempio soldi);
  • che comportano un danno per l’individuo con compromissione del suo funzionamento sociale e/o lavorativo.

Non vengono considerati i comportamenti aggressivi sotto i 6 anni.
Non sono considerati quelli dovuti ad altri disturbi o condizioni mediche (esempio trauma cranico) o a droghe.
Non portano a questa diagnosi i comportamenti aggressivi fra i 6 e i 18 anni presenti in un contesto di disturbo di adattamento.

Il disturbo esplosivo intermittente può essere in comorbilità con gli altri disturbi del comportamento, con l’ADHD o i disturbi dello spettro dell’autismo se si manifesta in misura significativamente maggiore rispetto a quanto è tipico negli individui con tali disturbi. Possono inoltre essere associati disturbi dell’umore, d’ansia e da uso di sostanze.

Le cause dei comportamenti aggressivi tipici del disturbo impulsivo intermittente possono essere vari. Non possono essere esclusi aspetti neurobiologici e temperamentali (ma nemmeno ritenuti sempre presenti). Spesso (ma non sempre) è determinante l’influenza ambientale: ad esempio una storia di traumi fisici ed emotivi in età evolutiva.

Per quanto riguarda gli interventi non abbiamo trovato materiale specifico sufficiente (o non sufficientemente convincente) a parte le indicazioni generali che possono esserci interventi farmacologici, psicoterapeutici, cognitivo-comportamentali o psicosociali.

Genitori o insegnanti che hanno un figlio o un alunno-studente con queste caratteristiche possono consultare quanto scritto a proposito degli interventi nel Disturbo oppositivo provocatorio e nel Disturbo della condotta valutando se alcune riflessioni o qualche suggerimento possono essere presi in considerazione nel singolo minore di loro interesse. Per gli insegnanti può ad esempio essere utile quanto è scritto sui lavori a piccoli gruppi.
Nei limiti del proprio ruolo e delle proprie competenze, è opportuna una osservazione sistematica,  tenendo nota delle situazioni che precedono e in cui avvengono i comportamenti “esplosivi” in modo da fare ipotesi su quali potrebbero essere le situazioni scatenanti, vissute come provocatorie, stressanti. Questo può permettere di prevenire. Un confronto ben programmato e condotto fra genitori e altri familiari in famiglia, o fra insegnanti a scuola permette di formulare ipotesi più obiettive e proporre interventi coerenti.
Infine è utile tener conto del fatto che di norma lo stesso individuo ha consapevolezza delle proprie difficoltà di controllo dei propri impulsi e cercare di tenerne conto nel proprio comportamento. Ad esempio può essere controproducente dirgli “a caldo” che deve controllarsi. Più utile è, in un momento successivo, “a freddo”, un invito alla riflessione sugli effetti di tali comportamenti e sulle caratteristiche delle situazioni vissute come provocatorie. E questo può funzionare se lo si propone con un atteggiamento non di rimprovero, ma come una offerta di aiuto esterno ai tentativi che lo stesso individuo si propone di mettere in atto.

Renzo Vianello, 21.01.2023

Fonte bibliografica principale
American Psychiatric Association (2013). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (5th ed.). Arlington, VA: American Psychiatric Publishing. (Trad. 2014. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Quinta edizione. Milano: Raffaello Cortina).